La siderurgia ha qualcosa di titanico. Ma i titani sembrano aver abbandonato questi tempi e questi luoghi. Hanno lasciato ruderi, tracce che etichettiamo come archeologia industriale, fabbriche dismesse, iperrealistici “simulacri di creazione”. Di ciò che fu, di ciò che è stato.
Stilisticamente, Lynch predilige il nero pece, profondissimo, ipnotico, e le superfici riflettenti, meglio se rifratte da vetri spessi e crepati. Mostra attrazione per il fuoco, il ferro, la melma; l’uomo che si fa artefice della natura, le vestigia di un tempo segnato dalla materialità… Ciminiere senza fumo, calcinacci, ruggine, macchinari ossidati, mattoni sbrecciati: certe immagini suscitano angoscia, alcune mi hanno fatto pensare al post-bomba di Cormac McCarthy (La strada). La figura umana è assente.
Scattate con macchine analogiche, molte di queste fotografie Lynch le ha fatte nella Polonia profonda, a Lodz; altre a Berlino, New York, New Jersey, Los Angeles, Inghilterra, nelle ultime due decadi del secolo scorso.
La mostra è composta da 111 scatti in bianco e nero (due formati: 28×36 cm e 100×150) e 3 cortometraggi (Industrial Soundscape, Bug Crawls, Intervalometer: Steps), con musiche di Angelo Badalamenti. Curata da Petra Giloy-Hirtz, in collaborazione con il MAST e la Photographers’ Gallery di Londra, la mostra è gratuita, da martedì a domenica (10-19), fino al 31 dicembre.
http://www.mast.org
a me ha angosciato e inquietato, per il gusto che sembra provarci lui (dalle sue frasi scritte).