Tarkus, Emerson, Lake & Palmer, Manticore 1971 – 8

LA PUNTINA SUL VINILE 210.

Le prime note – Eruption – restituiscono l’inconfondibile impatto delle tastiere di Keith Emerson, che alterna l’Hammond con un organo da chiesa, la Celeste con il Moog. La voce di Greg Lake e le sue propensioni melodiche, invece, non mi hanno mai fatto impazzire, anche se in un paio di situazioni – Jeremy Bender, per esempio– offre un buon contributo alle trascinanti ballate che consentono a Emerson di dilettarsi con l’amato honkytonk.

La copia che possiedo l’avrò comprata nel ’74 o ’75, è una ristampa su etichetta Manticore (l’originale era Island).

I disegni di copertina – connubio incestuoso fra animali preistorici e armi modernissime, fino al dominio dell’armadillo cingolato – sono dipinti da William Neal, con un gusto che definirei barocco-pop. Di cosa parlino i testi, non so dire (non era certo per i testi che compravamo album come questo).

Resta la mia preferenza per i brani strumentali: A Time And A Place, Aquatarkus, The Only Way (vi si insinua un omaggio a Bach, la sua Toccata in Fa maggiore).

All’epoca, Emerson aveva 27 anni, Lake 24, Carl Palmer appena 20: è strabiliante l’energia controllata che il batterista sa sprigionare nelle rullate che dominano i passaggi più ritmici.

L’ingegnere del suono è Eddie Offord (Are You Ready, Eddy?). Uscito appena quattro mesi dopo il celebratissimo album d’esordio, Tarkus offre a Emerson l’occasione per lasciare un’impronta indelebile sul suono della nuova epoca.

2 risposte a "Tarkus, Emerson, Lake & Palmer, Manticore 1971 – 8"

  1. Sigfrido Millequadri 23 febbraio 2018 / 10:52

    C’è qualcosa che mi ha sempre bloccato nei confronti di ELP. Sono una macchina musicale pazzesca su questo non ci sono dubbi. Emerson è il genio delle tastiere e Palmer un portento, sono loro che conducono e Lake sta al passo con le quattro corde ma con i limiti anche a mio parere della voce troppo melodica (tra i grandi vocalist del prog Gabriel stacca tutti per la qualità espressiva, non parliamo poi della visione registica teatrale). Il limite più vistoso del gruppo è forse la freddezza, quel distacco autoreferenziale, quel muro di note che si frappongono tra i musicisti e il cuore dell’ascoltatore. Riguardo al gusto dell’illustratore, William Neal, lo definirei kitsch-pop.

    • Rudi 23 febbraio 2018 / 11:13

      Kitsch-pop è meglio di barocco-pop.

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