L’interesse per Torino-Inter è solo per scoprire quale ragazzino esordirà in Serie A, nella speranza che non vis siano infortuni; e, per quanto mi riguarda, nessun problema se verrà data a Milan Skriniar la possibilità di salutare dal campo anziché dalla tribuna. A una settimana al 10 giugno, comincio a are i numeri…
Avviate nel 1955, le coppe europee di calcio hanno visto alzare almeno un trofeo a 63 squadre diverse. Solo 22 hanno vinto la Coppa dei Campioni, dal 1994 Champions League.
A farlo, per 19 volte è stata una squadra spagnola (Real 14, Barcellona 5), per 14 volte una inglese (Liverpool 6, United 3, Nottingham e Chelsea 2, Aston Villa 1), per 12 un’italiana (Milan 7, Inter 3, Juventus 2), per otto una tedesca (Bayern 6, Amburgo e Dortmund 1), per sei un’olandese (Ajax 4, Feyenoord e PSV 1), per 4 una portoghese (Benfica e Porto 2), e poi una da ex Jugoslavia, Francia, Romania e Scozia (Stella Rossa Belgrado, Olympique Marsiglia, Steaua Bucarest e Celtic Glasgow). Ecco le 22, un club molto esclusivo, che si è allargato per l’ultima volta nel 2012, con l’ingresso del Chelsea di Di Matteo.
Squadre di dieci Paesi diversi, dunque; si riducono a sei, se si considerano solo le finali di Champions League (quella del 10 giugno sarà la trentesima), e di queste 29 Coppe ben 27 si sono suddivise fra quattro Paesi (Spagna 12, Inghilterra 6, Italia 5, Germania 4).
Ventottesima e ultima partita casalinga di questa stagione interminabile. Spero di leggere da qualche parte il numero totale di spettatori: a spanne, quasi due milioni. Dubito sia mai accaduto in passato.
Stasera, non cerco particolari emozioni, di quelle ne ho già accumulate abbastanza. Meglio uno striminzito pareggino, uno 0-0 senza spettacolo.
Un pareggino avrebbe una sua logica. Statistica… La Serie A si sviluppa in 38 partite. Nei due anni con Spalletti, l’Inter pareggiò nel 31,7% e nel 23,7% dei casi; nei due anni con Conte, nel 26,3% e nel 18,4%. Il primo anno con Inzaghi fu identico al secondo di Spalletti: 9 pareggi, pari al 23,7%. Sapete a quanti pareggi siamo arrivati nel 2022-23? Appena 3, pari all’8,3%… Qualcosa di assurdo. In ogni caso, fra Atalanta e Torino, resterà un record, spero venga corretto al rialzo.
Mancheranno sia Gagliardini che Correa, proprio i due che sarebbero serviti alle rotazioni. Di stanchezza, più o meno malcelata, ne vedo tanta, contro la Fiorentina la differenza di velocità era palese, solo quella magnifica seconda metà del primo tempo (suggellata dal capolavoro di Lautaro su cross di Barella) ha consentito di alzare una coppa, che definire “sofferta” pare eufemistico. Mezza squadra avrebbe solo bisogno di riposare, invece il turn over sarà scarso e i tre centrocampisti saranno chiamati a spremere le penultime energie.
Più volte ho associato il mio nome – sul blog o su Twitter – all’hashtag #Suningout. Ero convinto che certe scelte finanziarie fossero insostenibili o, peggio, offensive della storia di uno dei club più titolati al mondo. La proprietà cinese ha tutto il diritto nel chiedere di ridurre i costi, ma dover sacrificare un paio di titolari a stagione al solo scopo di non far alzare il debito continua a sembrarmi inaccettabile.
Ora, io sono fra i milioni di tifosi che si divertono perché Suning ha saputo riportare l’Inter ai fasti morattiani: nelle ultime tre stagioni sono arrivati uno scudetto, due Supercoppe, due Coppe Italia, una finale di Europa League e una finale di Champions. Dalla quarta fascia del ranking, l’Inter è risalita alla seconda e se raccatterà un punto nelle prossime due partite, al 99% l’anno prossimo salirà in prima. Sono risultati sbalorditivi.
Talmente sbalorditivi, che per titolo ho scelto quel che avevo scritto mercoledì sera, al fischio finale di Irrati: “non ricordo stagioni nerazzurre con una tale sproporzione fra potenziale e risultati ottenuti”.
Mi ricordo l’immagine emblematica del nuovo cinema dell’orrore: al minuto 82, con la partita in bilico, viene esposto il cartello, entrano Correa e Gagliardini.
#amala. Stagione già leggendaria, la squadra a me pare cotta, ma Inzaghi è nella fase Re Mida e aver inserito Correa e Gagliardini sfiora il delirio di onnipotenza. #Lautaro sale a Quota 101. pic.twitter.com/rzcOwwvCtV
Potevo sperare che dopo dodici anni di blog, non si equivocasse quel che scrivo, derubricandolo a rito scaramantico: del genere, “se fingo di pensare che si può perdere, festeggio se vinco e faccio bella figura se perdo”… Sciocchezze. Del resto, la mia era una pretesa eccessiva: fra i lettori di oggi, solo una piccola minoranza seguiva questo blog negli anni dominati dalla Juventus, quando ci allenava Pioli o, peggio, De Boer, Mazzarri e Gasperini. Se pensassi che la scaramanzia funziona, la praticherei, eccome… Ma non funziona, tanto vale essere sinceri.
Come prima del derby di Champions avevo scritto della superiorità nerazzurra (solo in parte compensata dalla resilienza rossonera), oggi non ho difficoltà a scrivere che nella finale di Coppa Italia l’Inter è favorita. Lo è, perché è più forte della Fiorentina (in un campionato mediocre, ha pur sempre 16 punti in più), ma questo non mi rassicura affatto, perché la rosa nerazzurra è la più vecchia della Serie A, e senza Skriniar e Mkhitaryan, la panchina diventa cortissima: solo l’ingresso di Lukaku non peggiora la squadra titolare, ogni altro cambio porta il segno meno (dunque, l’Inter dovrà trovarsi in vantaggio al quarto d’ora del secondo tempo, altrimenti si farà dura). Per la Viola non è così, anzi Italiano ha molte più opportunità per correggere l’assetto in corsa: può infoltire il centrocampo, aggiungere attaccanti, inserire contropiedisti.
Ero sicuro che avremmo perso, a Napoli, l’ho scritto (anche i due gol di scarto) e non mi importa di come è maturata la sconfitta.
Veniamo dalla storica conquista della finale di Champions League, dopo due derby costosissimi in termini di energie psicofisiche. E non sempre si ha la fortuna di affrontare avversari della levatura di Calabria e Krunic… Otto riserve contro la squadra più forte della Serie A, davanti al suo pubblico e con la voglia di vendicare la sconfitta del 4 gennaio, non mi davano speranze. Non mi accanisco contro Gagliardini: era scarso prima, e scarso resta. Piuttosto, non aver acquistato un centrocampista in prestito o svincolato a gennaio è stato un errore molto grave, non più irrimediabile.
#amala. Se almeno questa sconfitta tappasse la bocca a quei sapientoni che da mesi ripetono che #Inzaghi ha "la migliore rosa del campionato ". No, l'Inter ha i migliori 11, forse i migliori 13, poi c'è un crollo tale che la squadra schierata a Napoli farebbe fatica a salvarsi. pic.twitter.com/dRnNm6eMO9
La sconfitta è stata messa nel conto: se vai in casa della squadra campione d’Italia con sette o otto riserve, non puoi farti soverchie illusioni.
Il Napoli, inoltre, schiera tutti i titolarissimi per “vendicare” la sconfitta a San Siro, e viene da un’altra sconfitta, abbastanza penosa, in quel di Monza.
Fino al 19 marzo, era stata una stagione trionfale: quel 19 marzo, il Napoli andò a vincere 0-4 allo stadio olimpico Grande Torino e, senza accorgersene, staccò la spina. Delle successive dieci partite, la squadra di Spalletti ne ha vinte solo tre (quella sulla Juve con tanta fortuna, quella sulla Fiorentina su rigore), segnando appena sette gol, mentre ne subiva undici.
Rilassamento forse inevitabile, dopo aver sovraperformato per cinque mesi, e pagato il prezzo alla malasorte – senza Osimhen, Simeone e Raspadori – nel Quarto di Champions. Ma se affronti il Milan tre volte e non ne vinci una, la malasorte scivola a fattore secondario. Era la benzina a essere finita.
Non so nulla del futuro partenopeo: lavorare per De Laurentiis dev’essere complicato, ma sarei sorpreso se un giocattolo così scintillante venisse rovinato dalle partenze di Spalletti e/o Giuntoli. La rosa del Napoli, con un paio di aggiunte in difesa e a centrocampo, può aprire un ciclo, i 17 punti di distacco sull’Inter sono un chiaro indicatore di superiorità, e se Spalletti saprà rimotivare i suoi, Quota 90 potrà essere raggiunta.
Contro i nuovi campioni d’Italia, giustamente Inzaghi pensa alla finale di Coppa Italia – partita che la Fiorentina sta preparando da un mese – e cerca di preservare le forze di una rosa che negli ultimi 45 giorni è stata spremuta per inanellare miracoli (Porto, Benfica, Juventus, Milan).
Cos’ha cambiato Inzaghi? Rispetto alla formazione-tipo iniziale, Onana per Handanovic, Acerbi per De Vrij, Mkhitaryan per Brozovic, Darmian per Skriniar.
Acerbi diventa titolare all’ottava partita, Mkhitaryan alla decima, Onana all’undicesima.
Nelle prime dieci partite, l’Inter subisce 15 gol (e cinque sconfitte), nella successiva decina incassa altri 12 gol (e due sconfitte). Totale: 27 gol in 20 partite… Nelle successive trentadue partite, l’Inter ha subito solo 22 gol. Quindi, 1,35 nelle prime venti, 0,69 nelle successive trentadue.
Il netto miglioramento difensivo è stato pagato con qualche gol in meno: dividendo la stagione negli stessi due blocchi, l’Inter aveva segnato 41 gol nelle prime venti partite, ne ha fatti 52 nelle successive. La media-gol a partita è scesa da 2,05 a 1,63.
Il quadro è ancora più nitido considerando le venticinque partite giocate nel 2023: 40 gol fatti e 16 subiti. Avesse avuto gli stessi numeri nel 2022, in campionato starebbe una decina di punti più su.
#derbyMilano. Nel XXI secolo se ne sono giocati 61 (troppi, si sta inflazionando). Vittorie Inter 27, Milan 21, 13 pari. Questa parvenza di equilibrio cambia considerando gli ultimi 41: 23 vittorie a 11. Fra gli ultimi 20, 12 a 4 per l’Inter, fra cui tutti gli ultimi quattro. pic.twitter.com/PuQimPfq04
#IntervsMilan. Dopo Helenio Herrera, tre volte, Gianni Invernizzi e José Mourinho, stasera Simone #Inzaghi diventa il quarto allenatore dell'Inter a conquistare una finale della Coppa dalle grandi orecchie. L'enormità di questo fatto potremo misurarla fra tanti anni. #amala
Presto scriverò di un libro che parlando di tennis sfiora questioni essenziali sulla natura umana: ha per titolo I Tre, l’ha scritto Sandro Modeo, e i tre sono Federer, Nadal e Djokovic. Va letto e riletto, per cercare di assorbire alcuni concetti, uno dei quali mi pare illumini un lato cruciale del derby di Milano. Un’incredibile semifinale di Champions con vista su Istanbul.
Senza scaramanzie, le mie convinzioni le ho espresse prima che cominciasse la partita di andata: “l’Inter è più forte del Milan, ma il Milan sa nascondere meglio i suoi difetti”. La stessa convinzione la ribadisco oggi. Me ne sono convinto nella primavera 2022, quando l’Inter si smarrì e perse lo scudetto, anzi fu il Milan a vincerlo, da squadra inferiore ma capace di feroci livelli di concentrazione, con cui oltrepassò i propri limiti. Quei limiti impiombarono le ali ai nerazzurri.
Dal libro di Modeo, ricavo una similitudine estetica e una frase di Djokovic.
Al suo meglio, con la squadra titolare in forma, l’Inter di Inzaghi somiglia a Federer, per la voglia di prendersi il campo, dominare l’avversario e per “il maggior tasso di rischio del suo gioco”. È esperienza comune aver visto Federer dominare le partite fino ad apparire ingiocabile, ma anche smarrire all’improvviso il suo tennis migliore, finendo sconfitto da tennisti nettamente inferiori.
Al suo meglio, con la squadra titolare in forma, il Milan si colloca a metà strada fra Nadal e Djokovic, concede poco, commette pochi errori gratuiti e dispensa una sorta di resilienza che spinge l’avversario a forzare e sbagliare. In sintesi, fa giocare male gli altri.
Nella prima mezzora del derby d’andata abbiamo visto l’Inter al suo meglio, estasiati, quasi increduli per quei dieci minuti che potevano portare quattro gol.
Ed ecco la frase di Djokovic, pronunciata dopo aver battuto Sinner a Wimbledon 2022. La si può apprezzare di più ricordando il punteggio di quel match: 5-7, 2-6, 6-3, 6-2, 6-2. La rimonta fu senza dubbio determinata dalla maggiore solidità fisica del serbo e da un calo atletico dell’altoatesino, non ancora abituato alla scarsità di ossigeno che si respira a certe quote, ma non fu meno decisivo un capovolgimento psicologico, noto a chiunque abbia giocato a tennis e si sia trovato in vantaggio contro un avversario più forte. Parola di Djokovic: “Sinner non aveva niente da perdere all’inizio, ma molto sul 2-0”.
Se l’Inter gioca come si trovasse sullo 0-0, nessun dubbio su come andrà a finire. Se si illude di gestire due gol di vantaggio, il rischio sarà altissimo.
Non somiglia a una trappola: è una trappola. Lo è proprio perché tutti la avvertono tale, richiamando i precedenti – una sola vittoria nerazzurra nelle ultime sette partite giocate a San Siro – e il rischio di distrazione, pensando già a martedì. Lo è perché Inzaghi non ha alternative al turn-over, ma alcune insistenze risultano incomprensibili (Acerbi non riposa mai, Correa non decolla mai, Gagliardini non convince mai).
La mia paura è la stanchezza. Può piombare di colpo sulla squadra, con la sua età media così alta, associata all’inevitabile rilassamento dopo la serie di buone prestazioni – e ottimi risultati – culminate con il derby di Champions. Ribadisco che nel secondo tempo, già prima delle sostituzioni che l’hanno indebolita, l’Inter di mercoledì mi è sembrata sulle ginocchia.
Un anno fa, Raspadori e Scamacca – su errori da frenesia di un’Inter che veniva dall’aver espugnato Anfield – trasformarono la partita nerazzurra in agonia, e a me pare che quella sconfitta non sia stata meno grave di quella a Bologna. Ma il Sassuolo non ha solo una tradizione mefitica, ha tanta velocità nelle gambe (Frattesi, Laurienté, Berardi, Defrel, Maxine Lopez). Nel girone di ritorno, sarebbe terza, dietro Napoli e Juve, davanti all’Inter, che pure viene da quattro vittorie consecutive.
A San Siro, lo scorso 29 gennaio, il Sassuolo ha banchettato sul Milan (2-5). Nel girone di ritorno ha espugnato anche l’Olimpico (3-4 alla Roma) e battuto 1-0 la Juventus.
Ecco il minutaggio e i dati essenziali dei quattro centrocampisti titolari. Quella di stasera è la partita stagionale numero 51.
Non condivido il retrogusto amaro di tanti interisti rispetto al risultato di ieri sera.
A nessuno sfugge che se la sassata d’esterno di Calhanoglu – il suo quarto legno quest’anno – non si fosse stampata sul palo interno, insaccandosi alla sinistra di Maignan, staremmo parlando di una goleada storica. Ma trovo stolto non riconoscere segni di fortuna non meno rilevanti della sfortuna sul tiro del turco. Unico vero rimpianto, la mancata espulsione di Krunic per quella specie di cazzotto alla bocca dello stomaco di Bastoni: non so se fosse rigore, so che in epoca Var un comportamento così non può sfuggire agli arbitri. Pioli abbia la decenza di non lamentarsi.
Prima fortuna, l’assenza di Leao. Ho scritto di temere gli imprevisti tattici legati alla sua sostituzione, ma l’essersi trovati rapidamente con un doppio vantaggio ha negato al Milan l’arma più affilata: starsene chiusi e ripartire con il lancio lungo. Al ritorno faranno l’impossibile perché Leao giochi, il contratto appena prolungato al 2028 garantisce che il portoghese voglia ripagare il datore di lavoro, Darmian e Dumfries andrebbero tenuti a riposo con il Sassuolo.
Seconda fortuna, l’infortunio di Bennacer: correva il minuto 18 quando la qualità del centrocampo rossonero ha subito un duro colpo, l’algerino è il migliore sul pressing e insieme a Tonali avrebbe potuto approfittare dell’evidente calo fisico dell’Inter nel secondo tempo (armeno e turco sostituiti, Barella in serata confusionaria).
Un Milan senza Leao e Bennacer, bisogna ammetterlo, non vale la Fiorentina.
Meticolosa, costruita con pazienza, l’azione del primo gol dell’Inter contro la Roma si snoda in 49 passaggi; decisivi l’improvvisa accelerazione di Brozovic e il cross in corsa di Dumfries, in mezzo all’area si stava catapultando anche Lukaku, oltre a Dimarco.
Dall’11 aprile, l’Inter ha battuto il Benfica al Da Luz, perso in casa con il Monza, pareggiato 3-3 il ritorno dei Quarti di Champions (gettando la vittoria alle ortiche), poi ne ha vinte cinque di fila (Empoli, Juventus, Lazio, Verona e Roma). Trovo che la cosa più importante sia “come” le ha vinte.
Strepitosa contro la Lazio, dilagante contro il Verona, in modalità gestione contro l’Empoli, faticando e ansimando senza mai distrarsi contro Juve e Roma. In gol, sono andati Barella Lukaku, Lautaro, Correa, Dimarco, Gosens, Calhanoglu e Dzeko, e anche la colonna degli assist vede sette nomi diversi.
Saranno l’ottavo e il nono derby con Simone Inzaghi in panchina. Finora, nei sette disputati, il bilancio è lievemente favorevole: 3 vinti (con due 3-0), 2 pareggi, 2 sconfitte. Ma c’è un dato clamoroso, che non vedo riferire: in sei partite su sette, l’Inter ha segnato per prima, è passata in vantaggio, al Milan non è mai riuscito, però ne è ha riequilibrata una e due volte l’ha ribaltata.
#MilanInter. Nel ‘92 all’esame scritto per l’abilitazione da giornalista stava nel banco accanto al mio: Sandro #Piccinini mi è sempre piaciuto, soprattutto negli sprazzi di ironia, e seguirei la sua telecronaca se non fosse per #Ambrosini; forse tolgo l’audio e ascolto #Repice. pic.twitter.com/FwKkHTBe0H
Parto da un dettaglio fastidioso. “Dzeko non segna da enne partite” è una di quelle frasi che non posso perdonare a un tifoso dell’Inter. Che lo scrivano giornalisti e commentatori a libro-paga altrui, attrezzati per seminare zizzania, è un conto; che ne sia convinto un tifoso dell’Inter, è imperdonabile… Prima della doppietta contro il Verona, Edin Dzeko aveva giocato un totale di 60 minuti (molto meno di una partita intera) nelle precedenti sette partite (Spezia, Juve, Fiorentina, Salernitana, Monza, Empoli e Lazio). Dzeko – proprio come Handanovic – meriterebbe almeno un po’ di rispetto.
Roma-Inter: firmo più che volentieri per uno 0-0 all’Olimpico, senza infortuni e senza squalifiche. Del resto, il segno “X” all’Inter è talmente sottodimensionato – 7 su 48 partite, meno del 15% – che la sua uscita non potrà stupirmi.
Più che volentieri, firmo anche per tre insipidi pareggi negli scontri diretti della 34esima: Roma-Inter, Milan-Lazio e Atalanta-Juventus. Per l’Inter, sarebbe meglio vincessero Lazio e Juventus (settimana prossima arrivano le motivazioni della sentenza e si riparte coi processi), ma anche solo fotografare l’attuale classifica, con una giornata in meno, sarebbe già ottimo.
Alla Roma mancheranno in tanti, ma Mourinho recupera Matic e Spinazzola, scommetto che Dybala e Wijnaldum saranno della partita, e sarà una squadra più competitiva di quella schierata contro Milan e Monza. A Mou del possesso palla interessa zero, e l’Inter dovrà stare molto attenta a non lasciare praterie alle spalle dei difensori. Il 3-4-2-1 della Roma ha spesso messo in difficoltà i difensori nerazzurri, costretti a seguire i “2” in zone del campo poco frequentate.
Alla centesima panchina dell’Inter, Simone Inzaghi ci ha impartito un’altra lezione.
Contro l’opinione dei più, ha schierato la formazione più vecchia che io ricordi (quasi 32 anni di età media), con sette ultratrentenni: Handanovic, D’Ambrosio, De Vrij, Acerbi, Brozovic, Mkhitaryan e Dzeko. Alla fine, Dzeko e Handanovic hanno zittito tutti, sono rimasti seduti Bastoni, Barella e Lukaku (più Onana e Correa), limitato minutaggio per Darmian e Dimarco, e spazio al giovane Zanotti. Una vittoria in scioltezza, resa facile dai tre gol in sette minuti, senza ammoniti e senza infortunati. Difficile immaginare di meglio. Lo sbalordimento in tribuna, al gol di Calhanoglu, è una buona sintesi della serata.
Come sapete, vincere di goleada non mi è mai piaciuto. La prima volta che l’ho scritto qui, c’era Mazzarri in panchina, avversario il Sassuolo. L’ho ribadito anche quando Joao Mario contribuì a un 5-0 sul Genoa (Spalletti) e dopo una straripante vittoria contro il Brescia (Conte); più di recente, dopo il 6-1 all’andata, avevo previsto che il Bologna ce l’avrebbe fatta pagare al ritorno. Ricopio una frase di tanti anni fa: “Nei due anni con Mourinho, l’Inter segnò 5 gol una volta sola… Gestire le forze è una qualità delle grandi squadre. Dilagare, no”.
Si corre il rischio dell’illusione ottica confrontando Spezia-Inter 2-1 e Verona-Inter 0-6: in un caso, tutto va storto, nell’altro tutto va dritto. Lo sbalordimento in tribuna, al gol di Calhanoglu, è una buona sintesi della serata. Più significativo, ai miei occhi, è il pareggio casalingo del Milan, che costringe i rossoneri a una battaglia con la Lazio, sabato pomeriggio, e poi a una trasferta insidiosa a La Spezia, collocata a metà dei due derby in sei giorni; il calendario rossonero resta molto più facile del nostro, affronteranno la Samp, la Juve quando sarà stata tramortita da un’altra sentenza e infine il Verona, a giochi fatti. Ma arrivare al doppio derby davanti al Milan in campionato avrebbe un valore inestimabile.
Mancano otto partite (fossero nove sarebbe bellissimo), in palio l’Inter ha ancora tre obiettivi: arrivare alla finale di Champions per gustarsi la marcatura di Haaland e De Bruyne, vincere la Coppa Italia (contro una squadra in salute, che può già gestire il turn over in vista del 24 maggio), e acciuffare il terzo o il quarto posto in campionato.
Le bucce di banana sono sempre possibili (soprattutto dopo una goleada), ma comincio a pensare che sarà complicato spiegare l’esonero di Inzaghi, se anche uno solo di questi obiettivi venisse raggiunto. Fossero due, la parola “complicato” andrebbe sostituita con “impossibile”. Fossero tre, sarebbe la miglior stagione nerazzurra dopo il Triplete e a Inzaghi andrebbe proposto un prolungamento del contratto.
Delle 100 partite in cui ha guidato l’Inter, ne ha vinte 62: fatemi i nomi di chi saprebbe fare meglio.
Se perdi contro Monza, Empoli e Spezia, ti condanni a dover vincere al Bentegodi, contro una squadra che si gioca la salvezza e nel girone di ritorno ne sta lasciando dietro sette. Una mancata vittoria a Verona, renderebbe indispensabile battere Mourinho sabato all’Olimpico.
Era preferibile incontrarlo un mese fa, il Verona. Ma nell’arco di un campionato accade di incrociare squadre in ascesa e altre in declino. Per esempio, Inter-Sassuolo di sabato 13 metterà di fronte alla semifinalista di Champions la squadra che dopo il Napoli ha fatto più punti nel girone di ritorno, con la sua ormai assodata tradizione anti-nerazzurra: quattro sconfitte contro i neroverdi negli ultimi cinque campionati.
Non c’è solo il crollo dello Spezia (tutta la fortuna la concentrò in quell’incredibile partita che finì 2-1): la rimonta del Verona deriva dagli otto punti nelle ultime quattro partite, battendo Sassuolo e Bologna, e fermando il Napoli sullo 0-0. È un ottimo momento per il trentenne Simone Verdi, che a Bologna conquistò la Nazionale prima di smarrirsi fra Napoli e Torino, e rilanciarsi a Salerno. Il Verona ha un ottimo portiere, Lorenzo Montipò, un terzino che ha già segnato per l’Inter e contro, Davide Faraoni, e mi pare che anche Lazovic e Henry siano andati a segno contro Handanovic, in un recente passato. Fra gli altri, mi è sempre piaciuto Tameze, centrocampista di corsa e di lotta. All’andata finì con uno striminzito 1-0, gol di Lautaro al terzo minuto, con la classica incapacità di chiudere la partita.
Le assenze di Skriniar e Gosens (definitiva la prima, sperabilmente breve la seconda) rendono indispensabile la “protezione” di Darmian e Dimarco, con vista Milan. Mancano appena sette giorni alla semifinale di andata… Mi aspetto D’Ambrosio e Bellanova, De Vrij al posto dello stanchissimo Acerbi, e non mi stupirebbe l’insistenza su Correa, a cui andrebbe evitato San Siro: il pubblico l’ha ormai giustiziato.
Dalle trasferte di Verona e di Roma, bisogna ricavare quattro punti, e sperare in zero infortuni e zero squalifiche: è un obiettivo realistico, se si ripresenta la squadra di Empoli o di Inter-Lazio, ma troppe volte in trasferta è mancata la capacità di indirizzare il risultato già nel primo tempo.
Spero continui a portare fortuna la maglia senza sponsor e mi accodo alla richiesta di chi vorrebbe fosse messa in vendita. Arbitra Orsato. Come ha scritto su Twitter Giovanni Brentegani, “speriamo che non sia troppo vicino all’azione”.
Sette partite al termine del campionato, e sono tutte decisive, ma quelle con le romane lo sono di più. Collocata alla vigilia della semifinale di andata di Champions, Roma-Inter può risultare dirimente, una vittoria giallorossa renderebbe l’inseguimento nerazzurro al quarto posto pressoché impossibile.
Dando per scontata l’esclusione della Juventus dalle competizioni Uefa e considerando, diciamo così, “sommamente improbabile” che una delle milanesi vinca a Istanbul, solo con 70 punti si avrebbe la certezza di acciuffare la Zona Champions. Fra i 54 di oggi e 70, di punti ne mancano 16. Sono tanti. Firmerei per uscire con 7 punti dal trittico che precede la semifinale (Lazio e doppia trasferta a Verona e all’Olimpico). L’Inter deve gestire le forze all’interno di un calendario folle, congestionato, a forte rischio infortuni (il caso della Roma è esemplare).
Oggi, l’aver conquistato la finale di Coppa Italia, battendo la Juve, può fornire un propellente in grado di attenuare la fatica. Ma la fatica c’è, le condizioni fisiche di Barella e Calhanoglu destano qualche preoccupazione, Darmian andrebbe posto sotto una teca di vetro, essendo l’unico in grado di limitare Leao, Acerbi e Mkhitaryan non possono giocarle tutte, è assodato che l’autonomia di Dimarco non supera i 63-65 minuti, Correa segna ogni 286 minuti, e nessuno è in grado di sapere come giocherà Lukaku, che senza dubbio verrà schierato oggi al centro dell’attacco. Temo che solo un Lukaku trascinante possa portare i tre punti.
Perciò, non mi scandalizza l’ipotesi di rivedere Roberto Gagliardini in marcatura su Milinkovic Savic. Del resto, quello della Lazio è l’unico centrocampo della Serie A che non considero inferiore a quello nerazzurro, e il serbo ha maturato l’abitudine di segnarci gol decisivi (già cinque).
Di primo acchito, il punto debole della Lazio sembra la difesa: nessun tifoso nerazzurro vorrebbe rafforzarsi con Provedel, Hysaj, Casale, Romagnoli e Marusic; eppure, la squadra di Sarri non subisce gol da cinque trasferte di campionato, e trovo questo dato non meno sbalorditivo di quello per cui l’Inter ha perso le ultime tre gare casalinghe di Serie A, senza segnare neanche una rete (l’ultima al Lecce, il 5 marzo…).
Nelle ultime nove sfide, Inter e Lazio viaggiano in perfetta parità: 4 vittorie a testa. Per la Legge dei Grandi Numeri, il pareggio pare la soluzione più probabile, sarei felice di vincerla anche perché la maglia sarà bellissima, intonsa, finalmente priva dello sponsor che non paga. Un balzo indietro di trent’anni, che mi fa vagheggiare l’idea di comprarne una.
#RomaMilan, in cosa spera un tifoso dell’Inter? Nella vittoria rossonera, se gli pare più facile fare la corsa sulla Roma. Nel pareggio, se fa il ragioniere e non considera il peso della psicologia. Nei giallorossi, se considera l’epica indelebile dei due derby di Champions. pic.twitter.com/DoQa1Jaa4W
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