Mi ricordo che una decina di anni fa, intorno alle 16.45, venni formalmente convocato per un interrogatorio in Questura.
mi ricordo
Un traduttore
4172, mi ricordo
Mi ricordo il corso in cui cercavano di spiegarci la differenza fra i “buoni propositi” e gli “obiettivi”, che a quanto pare devono essere sia “realistici” che “sfidanti”.
Pistoia-Cantù, prima della quarta
4171, mi ricordo
Mi ricordo il tentativo di decifrazione del senso più profondo di un tatuaggio.
50 capolavori della Paramount
Yuppi du – Adriano Celentano, 1975 – 6
Scritto, diretto, interpretato e montato dal personaggio meno incasellabile della musica italiana, che – in quanto produttore – poté consentirsi la massima libertà. La fotografia di Alfio Contini ci immerge in una Venezia magica e in una trama inafferrabile (o, forse, inconsistente), su soggetto di Alberto Silvestri, sceneggiato da Celentano, Miki Del Prete e dallo stesso Silvestri.
Trascinata dalla canzone omonima, che salì in vetta alla Hit Parade, la pellicola ebbe un grande successo, ma la sua circolazione fu strana: esaurito il passaggio nelle sale, divenne virtualmente invisibile, mai pubblicata in videocassetta, in tivù solo alla fine dell’87, restaurata nel 2008.
Felice Della Pietà (Celentano) era sposato con Silvia Della Noce (Charlotte Rampling), che si è suicidata, lasciandogli una figlia. Ora Felice si è legato ad Adelaide (Claudia Mori), vivono in mezzo all’acqua circondati da freaks come Napoleone (Gino Santercole), Scognamillo (Memo Dittongo) e Nane (Lino Toffolo). All’improvviso, Silvia riappare e gli rivela di aver inscenato il suicidio per poterlo lasciare, stanca della povertà a cui era costretta. Ora vive a Milano, dove Felice la segue (tanto Venezia è colorata, tanto Milano è grigiastra); davanti al nuovo marito, Felice propone di vendergli la bambina a peso…
Messa in scena vertiginosa, delirante, piena di effetti visivi (alcuni splendidi, alcuni pessimi), con sconcertanti irruzioni pop, balletti di massa, dialoghi in sovrimpressione, elucubrazioni sull’amore e la responsabilità, coreografie da videoclip, morti sul lavoro, afflati evangelici, costumi stravaganti e grandangoli deformanti, personaggi fini a se stessi, suggestioni distopiche, e chi più ne ha più ne metta (“una girandola di invenzioni espressive”, scrisse Tullio Kezich). Memorabile il ballo con Charlotte Rampling seminuda.
4170, mi ricordo
Mi ricordo la squillante biancheria rossa di Kelly LeBrock, ma non ho alcun ricordo di dove lei, dopo quel film, sia andata a finire.
4169, mi ricordo
Mi ricordo partite brutte, anche bruttissime, ma nessuna con tante perdite di tempo come la finale di Coppa Uefa fra Siviglia e Roma.
4168, mi ricordo
Mi ricordo i tagli che decisi di dare alle mie relazioni personali quando lasciai la politica, ora se ne annunciano altrettanti per il necessario distacco dal calcio.
4167, mi ricordo
Mi ricordo che non è obbligatorio seguire il calcio, anzi sarebbe sano smettere di farlo, ma l’imperdonabile errore è stato un altro, restarsene in Italia.
4166, mi ricordo
Mi ricordo film interessanti ma quasi convenzionali, esaltati da un magnifico finale (per esempio, Panico a Needle Park).
4165, mi ricordo
Mi ricordo che ieri sera, alle 19.03, ho provato l’esperienza di restare chiuso dentro un cimitero.
4164, mi ricordo
Mi ricordo che la stanchezza è tanta, ma l’umidità è ancora di più.
4163, mi ricordo
4161, mi ricordo
Mi ricordo il gol di Acerbi a Buffon – finora l’unico in nerazzurro – nei tempi supplementari di un primo turno di Coppa Italia affrontato con la tipica presunzione del “tanto la vinciamo”.
4160, mi ricordo
Mi ricordo di aver sempre apprezzato chi si batteva contro il doping, ma di non aver mai avuto fiducia nelle autorità antidoping.
4159, mi ricordo
Mi ricordo che il comico preferito di Bunuel era Buster Keaton.
4158, mi ricordo
Mi ricordo quando chi tiene uno o più gatti comincia a mostrarne le foto ad altri possessori di uno o più gatti.
4157, mi ricordo
Mi ricordo che ho fatto passare molti, molti mesi prima di tornare a Casteldebole.
4156, mi ricordo
Mi ricordo il parco Bassani a Ferrara, il fango ovunque e l’odore pungente della paglia schiacciata.
Tresigallo, la metafisica al potere
Viaggiando nella bassa padana, se vi capita di sbagliare strada, può non essere così negativo. Lo so, si ha sempre fretta, la destinazione prevale sul percorso, sbagliare strada fa sentire stupidi (e non basta sfogarsi imprecando verso chi ha piazzato i cartelli), ma sopravvivono luoghi raggiungibili solo fuori dagli itinerari programmati. Luoghi strani, sospesi nello spazio e nel tempo.
A Tresigallo, la prima volta siamo arrivati per la reputazione di un ristorante, era appena finito il primo lockdown e lo trovammo chiuso.
La seconda volta, di ritorno dall’abbazia di Pomposa, avevamo voglia di un gelato. Parcheggio (facile). Passeggiata (breve). Ma il bar della piazza numero uno era chiuso e il bar della piazza numero due non aveva gelati. Nei pochi minuti di sosta, ho avvertito che quel luogo emanava qualcosa di insolito. Dall’auto, girando a caso, vedevo edifici dalla forma arrotondata e mi sono ripromesso di tornare. Infine, ecco un grande cartello invitante: “Sempre Aperto”… Se a Tresigallo un locale pubblico è sempre aperto, lo gestiscono i cinesi: fu quello il pensiero. Infatti: ecco due giovani cinesi, gentilissimi, in un bar enorme e deserto. Gelato mediocre, resterà l’unica delusione che quella località ci abbia riservato.
4155, mi ricordo
Mi ricordo che fra milioni di parole che si spendono in caso di alluvioni, è raro trovarne alcune che sono cruciali: “oneri di urbanizzazione”.
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