Too Big To Fail: dopo il colpo di spugna

A parte Gianni Cuperlo, gli altri tre candidati alla segreteria del Pd – in ordine di passione calcistica, Bonaccini, De Micheli e Schlein – hanno accuratamente evitato di prendere la parola sugli scandali giudiziari della squadra del cuore. Ottimi consulenti li avranno consigliati, orientandoli a questo opportunismo, l’ennesimo nel caso del Pd, che nove volte su dieci sembra scegliere la sua posizione dopo aver letto i sondaggi e ciò nonostante (o forse proprio per questo) perde quasi tutte le elezioni a cui partecipa.

Come ragiona il consulente? Soppesa i pro e i contro con una bilancia di precisione. In questo caso, i contro sono otto milioni di tifosi, la tifoseria più numerosa d’Italia, quella che Gravina chiama “brand”, manifestando la sua ritrovata “serenità” dopo lo scandaloso patteggiamento di ieri.

Un patteggiamento che, con rarissime eccezioni, tutto il mondo del calcio italiano si aspettava. Perché la Juventus è «too big to fail», troppo grande per fallire, troppo grande per essere trattata come un Chievo qualsiasi. La Legge può essere uguale per tutti quelli che arrivano fino a un certo fatturato: poi, quando si arriva ai piani alti, è abituata a chiudere gli occhi.

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Patteggiamento, il commento di una vittima

Patteggiare con quelli dei 38 scudetti…

Scendere a patti. Purché la giustizia sportiva non si renda ridicola…

#Prisma. #Juventus. #Ceferin. #plusvalenze: l’unica via d’uscita decente

Tutto come previsto, tranne il 4-1 dell’Empoli. Tutto come previsto, ripeto, anche se fino a ieri il 90% della “grande stampa” e delle tivù facevano finta di nulla e discettavano di acquisti, rinnovi, “nuovo inizio bianconero”, illudendo i tifosi – che qualche colpa, bisognerà pur dirlo, ce l’hanno: si sono fidati di ogni wannamarchi che li rabboniva e vendeva loro illusioni di salvezza.

Fra tanti “opinionisti” farlocchi, spiccano quelli che ancora continuano a indicare Ceferin come colpevole. Ho letto che era uno scandalo che Ceferin fosse stato invitato da Zhang all’ultimo derby di Champions. Non ricordo parole scandalizzate quando Ceferin teneva a battesimo la figlia di Andrea Agnelli. Ma ogni giorno si allunga la lista – inaugurata da Luciano Moggi – di quelle facce davanti alle quali cambio canale in un centesimo di secondo.

La giustizia sportiva ha fatto una brutta figura: punti tolti, ridati, ritolti; tempi caotici. Ma dalla Juve non è ancora venuta mezza parola per ammettere la colpa, anzi la nuova classe dirigente scelta da John Elkann continua a dire che non è stato commesso alcun illecito. E gli avvocati ci sguazzano, fra ricorsi, richieste di cambiare sede del processo, vistosi tentativi di perdere tempo e acciuffare la prescrizione.

Le dimensioni della “botta” giudiziaria che colpirà la Juventus saranno più chiare fra qualche settimana (il 15 giugno è convocato il processo sugli stipendi e le partnership). Pare chiaro che l’Europa resterà un miraggio per anni. Ero certo – l’ho scritto – anche della Serie B, ma le dichiarazioni di Abodi e Gravina (“tutelare il brand”, non l’onestà della competizione) mi hanno ricordato che paese è l’Italia, che sei un potente hai diritto a un “rispetto” che il Chievo non merita, nonostante la “recidività”: quella società è stata coinvolta in tutti gli scandali calcistici di questo secolo (senza dimenticare lo scudetto scippato all’Inter nel 1997-98).

La mia speranza è che a una via d’uscita si stia già lavorando. Leggo di un’offerta faraonica di Elkann a Lewis Hamilton (il CR7 della Formula 1) per guidare la Ferrari il prossimo anno; forse è il segno di una scelta già fatta, reinvestire su un marchio prestigioso e disinvestire su un marchio rovinoso.

Auspico che la Juventus esca dalla Borsa, dopo aver derubato qualche decina di migliaia di poveri illusi. Exor potrebbe pilotare il riacquisto di azioni che già valgono poco più della carta su cui sono stampate, e a quel punto mettere in vendita il Club. Qualche emiro si farà avanti.

E nel momento in cui la Juventus non sarà più degli Agnelli-Elkann, comincerà un’altra storia del calcio italiano.

4160, mi ricordo

Mi ricordo di aver sempre apprezzato chi si batteva contro il doping, ma di non aver mai avuto fiducia nelle autorità antidoping.

Quella di #Cantù a Nardò è una caduta così rovinosa che non credo più nella promozione

Ecco i punteggi dei quattro quarti di Gara 3: 20-25, 23-27 (all’intervallo, dunque, Cantù era davanti di 9), 28-3, 31-23.

Il terzo quarto somiglia a un incubo. In pratica, in dieci minuti, Cantù ha segnato solo un canestro, finendo con 1 su 20 (1 su 9 da due, 1 su 11 da tre), mentre i padroni di casa segnavano quasi tre punti a minuto, con 11 su 17 dal campo.

Provo a dirla in un altro modo: Cantù ha superato la metà campo di Nardò venti volte, nel terzo quarto di Gara 3, segnando un solo canestro. A mia memoria, un simile sfacelo non si era mai verificato, in oltre mezzo secolo di ricordi canturini.

L’assenza di Hunt, il pivot titolare (peraltro molto criticato in questi mesi) non può certo essere evocata a scusante: Cantù stava controllando la partita, all’intervallo era sopra di 9, trovo sia molto più probabile che il crollo sia avvenuto per presunzione e supponenza: i due difetti davvero imperdonabili, per chi indossa quella maglia.

Non ho visto la partita, non so cosa abbia fatto la panchina, in quei terribili dieci minuti, ma non saputo nemmeno rallentare un simile schianto (chiudere il quarto a meno 15 anziché a meno 25), mi fa pensare male anche di Sacchetti e del suo staff.

Certo, Cantù resta favorita contro Nardò, magari sabato sera vincerà e passerà il turno, oppure farà pesare il fattore campo a Desio. Ma gli ultimi dubbi che avevo su questo roster – accentuati dall’arrivo di Logan nel supplemento di mercato, che avevo definito “mossa della disperazione” – mi si sono chiariti: senza un miracolo, Cantù giocherà in A2 anche nella prossima stagione.

I Tre. Federer, Nadal, Djoković e il futuro del tennis, Sandro Modeo

Avevo letto entrambi i suoi libri sul calcio: Il Barça (2011) e L’alieno Mourinho (2013). Stavolta, a una conoscenza del tennis – del gioco, della Storia, dei retroscena – che teme pochi confronti, Modeo aggiunge una sconcertante conoscenza della cultura pop, in varie accezioni (cinema, musica, narrativa, fumetti, serial tv, altri sport, tanto altro) e, fatto ancora più distintivo, delle neuroscienze e delle scienze motorie. Ne discende un testo dalla densità abissale (vertiginosa bibliografia, molte frasi vanno rilette), che fotografa un raro momento storico: quello in cui tre tennisti hanno dominato la loro disciplina in forme inedite. Com’è noto, nel primo ventennio del XXI secolo, “i tre” hanno accumulato 64 tornei dello Slam. Modeo li chiama così: “Apollo”, “Venom” e “Djoker”.

Di solito, le rivalità sportive assecondano uno schema binario – Coppi-Bartali, Borg-McEnroe, Mazzola-Rivera, Senna Prost, Magic-Bird, Rossi-Biaggi, eccetera. Quella fra Apollo, Venom e Djoker si configura come una competizione che si tramuta in coevoluzione. Per superarsi, hanno dovuto studiarsi, affinarsi, migliorare nei punti deboli, consolidare i punti di forza.

Identificare il tipo di gioco e il carattere dei tre fenomeni del tennis, è solo una parte del gioco intellettuale proposto da Modeo. Altrettanto importante è scavare nei sentimenti reciproci (ammirazione fra Roger e Rafa, avversione fra Roger e Nole). Da certi dettagli si scatenano cortocircuiti degni di nuovi studi. Per esempio, ci viene ricordato che Roger Federer ha perso 22 partite in cui ha avuto almeno un match point a favore, “indice di una labilità emotiva troppo smesso rimossa”. Psicologicamente, l’Apollo è sempre apparso più emotivo e instabile degli altri due. Resistenza, pazienza e freddezza sono caratteristiche comunemente attribuite a Venom e Djoker. Aspetti caratteriali si riverberano nel tipo di gioco.

Nessun dubbio sul fatto che il serbo abbia “rovinato” la diarchia perfetta, incuneandosi sull’Olimpo fra Federer e Nadal con una “smisurata forza neuropsicologica”, che per gli antipatizzanti (Modeo li chiama “avversatori”) non è altro che una certificazione del “suo status di ‘abusivo’ nel Regno della Bellezza e della Grazia (RF) o dell’Epica e dell’Eroismo spinti al martirio (RN)”.

Cosa e quanto c’è di “innato” e cosa di “appreso” nei tre? In altri termini, quanto talento e quanto apprendimento. Senza negare il fondamento delle teorie sull’allenamento, Modeo si schiera con quelle che privilegiano il condizionamento genetico rispetto all’esercizio, è chiaro che si possono esercitare sia i muscoli che le “capacità di sostenere a lungo la concentrazione”.

Tutti e tre potevano eccellere in altri sport, tutti e tre sono stati tentati dal calcio, per tutti e tre hanno avuto enorme importanza i primi insegnanti, che hanno saputo plasmare i loro talenti. E a parità di allenamento, la differenza la fa l’innato. Per esempio, Federer, come McEnroe e Stephen Curry, possedeva una “non comune sensibilità tattile”. Ci sono similitudini poco indagate fra tennisti e violinisti nelle aree cerebrali e motorie (la sensibilità delle dita). “L’estremo controllo del corpo”, la velocità di reazione, la coordinazione occhio-mano, gli automatismi subliminali necessari a ribattere una pallina che ti arriva addosso a oltre 200 kmh. I tre possiedono una formidabile capacità nel decifrare in anticipo (dalla postura, dalla gestualità, eccetera) le intenzioni e il colpo dell’avversario.

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Chiuso per calcio, Eduardo Galeano

Raccolta di testi per quotidiani e riviste, organizzati in due parti: prima le storie su personaggi ed eventi; poi le interviste e i discorsi. Edito da Sur, tradotto da Fabrizio Gabrielli; la redazione di L’Ultimo Uomo firma l’introduzione e il glossario finale.

Libro necessario, per quanto frammentario e non paragonabile a Splendori e miserie del gioco del calcio. Ma nessun libro sul calcio si può paragonare a quello…

“Chiuso per calcio” stava scritto su un cartello che Galeano appendeva fuori dalla porta di casa, quando cominciava un Mondiale; del resto, faceva notare lo scrittore uruguayano (1940-2015), “anche il Papa ha sospeso i suoi viaggi per un mese”.

Se Brera scriveva che “non sempre amare il calcio significa capirlo”, Galeano è ancora più affilato e drastico: “E a onor del vero: questo bellissimo spettacolo, questa festa per gli occhi, è anche un business schifoso”.

Su Maradona, dopo la vicenda della cocaina ai Mondiali Usa 1994: “il piacere di distruggere idoli è direttamente proporzionale alla necessità di averne”. È lui l’uomo “che ci ha dimostrato come la fantasia possa anche essere efficace”.

Omar Lorenzo Devanni, centravanti del Santafé, all’ultimo minuto decise di sbagliare il rigore che sapeva essere inesistente nell’infuocato derby con i Millonarios di Bogotà: così facendo, “scelse la sua rovina, scelse la sua gloria”.

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Mi chiamavano Rombo di tuono, Gigi Riva con Gigi Garanzini, Rizzoli, 2022

Non aveva ancora trentadue anni quando ha smesso di giocare, in Nazionale ha segnato 35 gol in 42 partite e si è procurato due infortuni gravissimi (contro Portogallo, 27-3-67, e Austria, 31-10-70), resta uno dei nomi più amati e meno “divisivi” del calcio italiano, un po’ perché ha giocato nel Cagliari e non in una “grande”, un po’ perché era schivo e leale, e per la trascinante generosità con cui affrontava le partite e festeggiava i gol, a braccia tese. Da giovane, i compagni di squadra lo chiamavano Hud, per via della somiglianza con Paul Newman, “divenne Giggirriva per il suo talento purissimo, per la passione feroce che dentro gli ruggiva”. Garanzini gli ha “prestato la penna”, il racconto scivola in prima persona, in un volume impreziosito da molte foto in bianco e nero. Forse l’autobiografia più “riservata”, taciturna, meno enfatica che abbia mai letto.

Nato a Leggiuno, provincia di Varese, il 7 novembre 1944 (dopo tre femmine), fu Brera a chiamarlo “Rombo di tuono” dopo un Inter-Cagliari 1-3 con doppietta, sei giorni prima del secondo infortunio in Nazionale.

Orfano di padre, Ugo, nel febbraio ‘53, Luigi fu parcheggiato in tre orfanotrofi, dai quali fuggiva e veniva ripreso: non sopportava “il peso, l’umiliazione di essere poveri, le camerate fredde, il mangiare da schifo, il cantare ai funerali anche tre volte al giorno, il dover dire sempre grazie signora grazie signore a chi portava il pane, i vestiti usati, e pregare per i benefattori, e dover stare sempre zitti, obbedienti, ordinati, come dei bambini vecchi”. Aveva tre sorelle più grandi, la madre lavorava alla filanda e faceva le pulizie. Scoprì il calcio nell’oratorio di don Primo. Nel ’62, morirono anche la madre Edis e la sorella Candida. Gli studi si fermano in Terza media; da apprendista, va a lavorare in una fabbrica di ascensori.

Da ragazzo tifava Inter, l’idolo era Skoglund. Il primo contratto con il Legnano, Serie C, maglia lilla. Viveva con Fausta, sorella maggiore di cinque anni. Esordio nell’ottobre 1962. Il 13 marzo del ’63 giocò con la Nazionale juniores e nell’intervallo il Legnano lo cedette al Cagliari per 37 milioni e mezzo; nel secondo tempo, Riva segnò il gol della vittoria 3-2 e a fine partita il presidente del Bologna Dall’Ara arrivò a offrire 50 milioni.

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Air. La storia del grande salto [Air] – Ben Affleck, 2023 – 6

Quante cose si possono celebrare in un solo film?

La competenza di un esperto di basket, che vede il potenziale epico di Michael Jordan ben oltre quello della “quinta scelta” al Draft 1984.

Il coraggio del capo della Nike, che decide di rischiare tutto il budget su quel ragazzino uscito da North Carolina.

L’abilità tecnica di chi progetta, modella e colora le nuove scarpe, le Air Jordan.

L’intuito della madre di Michael, che strappa un contratto inedito alla Nike, affinché il suo ragazzone incassi qualcosa per ogni paio di scarpe vendute.

Lui, il Numero 23, mostrato solo con foto, immagini televisive e ombre della controfigura.

E, infine, l’America, fulcro del capitalismo e del marketing: unico luogo al mondo in cui avrebbe potuto accadere una cosa simile.

Sommando questa serie di celebrazioni, ne deriva un film enfatico e supponente, che spreca Matt Damon (mai così bolso) offrendogli una sola scena che ne giustifichi il talento, all’inizio, quando gioca e perde ai dadi quel che aveva appena vinto scommettendo contro i Lakers.

Amici da tempo immemorabile, Affleck e Damon, venticinque anni fa, vinsero l’Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting. Damon interpreta Sonny Vaccaro, colui che ha stravolto la storia delle calzature sportive, nell’anno di grazia 1984 (secondo mandato di Reagan), portando la Nike al sorpasso di Converse e Adidas. Con autoironia, Affleck si assegna il ruolo di Phil Knight, co-fondatore della Nike, con la sua auto sportiva color uva, la pettinatura agghiacciante e divise da jogging indossabili solo da un daltonico. Dalla sede di Beaverton, Oregon, passano Viola Davis (la mamma di “Air”), Chris Messina (l’odioso manager) e Jason Bateman (da Ozark), a cui è affidato l’unico momento apprezzabile, quando il suo personaggio, con la famiglia sfasciata, si scopre a pensare che Born in the USA (1984) racconta una storia diversa da quella che lui pensava di cantare s squarciagola.

Air è ancora in qualche sala, ma l’ho visto su Amazon Prime.

Libici

Real – City, primo tempo

Cantù ingaggia David Logan

Plusvalenze: una lapide bianconera sull’Europa (e il peggio deve ancora venire)

Sono state pubblicate le lunghe e dettagliate motivazioni del Collegio di Garanzia del CONI, sulla decisione di annullare i punti di penalità per la Juventus e di rinviare nuovamente la decisione alla Corte d’Appello federale. “Motivazioni che affossano la Juventus, che dovrà rispondere degli illeciti commessi dai suoi ex dirigenti, anche per il tanto discusso art. 4 sulla lealtà sportiva” – questa frase è di Calcio & Finanza.

Calciomercato.com è, se possibile, ancora più tranciante: “Le motivazioni del Collegio di Garanzia del Coni sono una vera e propria stangata per la Juventus che si è vista respingere quasi in toto l’impianto difensivo che partiva dai vizi di forma e finiva sull’inaccettabilità sia della riapertura del filone plusvalenze da parte della Corte d’Appello Federale, sia sull’impossibilità di passare dall’articolo 31 all’articolo 4 della lealtà sportiva”.

Secondo il Collegio di Garanzia, l’annullamento dell’inibizione nei confronti di alcuni membri (minori) del CdA bianconero suggerisce di rimodulare la sanzione, ma è certo che una nuova penalizzazione ci sarà.

In particolare, viene ribadita «l’esistenza di comportamenti non corretti sistematici e ripetuti, frutto di un disegno preordinato», e si evidenzia come le plusvalenze in casa Juventus hanno «prodotto chiari effetti (voluti dagli stessi attori) sui documenti contabili della società e, quindi, in definitiva, anche sulla sua leale partecipazione alle competizioni sportive».

La penalizzazione sarà afflittiva, toglierà qualcosa alla Juventus. Circola voce che i suoi avvocati puntino a dilatare i tempi per spostare la sanzione alla prossima stagione, ma non sarà così: con il nuovo codice di giustizia sportiva, la Corte convocherà l’udienza entro maggio, e ai primi di giugno arriverà la penalizzazione. A quel punto la classifica sarà chiusa e comunicata alla UEFA.

Ipotesi: anziché meno 15, si stabilisce meno 9: la Juve uscirebbe dalla Zona Champions, ma potrebbe restare in Zona Europa League. Ma non credo che l’UEFA accetterebbe una soluzione così ipocrita.

Ovviamente, non andrebbe dimenticato che i processi sportivi per i (supposti) reati più gravi devono ancora cominciare. Non a caso, sempre più spesso, si parla di “patteggiamento”.

Cantù in crisi di identità

Sconfitta nuovamente da Forlì – stavolta in casa ed è la terza volta che i canturini sprecano il fattore campo – Cantù esce malissimo dalla “fase a orologio”. Considerando l’intera stagione, siamo a 23 vittorie 7 sconfitte, ma in questa seconda “fase” il bilancio è 3 a 3, e sei delle sette sconfitte si concentrano nelle ultime quindici partite.

Che Forlì sia superiore a Cantù, è evidente: ha vinto sia in casa che fuori, le due partite si sono chiuse con tre possessi di differenza. Ieri, le percentuali canturine al tiro sono state pessime: 5 su 28 da tre, 13 su 23 nei liberi. Ma la sconfitta deriva anche dal minor numero di tiri da sotto (sei in meno) e dal bilancio fra palle perse e recuperate (meno otto). Equilibrio a rimbalzo (più uno), giocando sette palloni in meno e cercando insistentemente la soluzione da lontano, Cantù si è consegnata a una sconfitta che non cambia nulla rispetto ai play-off (Treviglio ha schiantato una Pistoia molto distratta), ma aggrava le incertezze sull’effettiva forza della squadra che tutti davano favorita per la promozione.

Ieri, Rogic e Hunt non sono stati i peggiori, ma le speranze di inizio stagione si stanno rivelando infondate: altre coppie di stranieri stanno incidendo di più, la nostra non si sta dimostrando in grado di trascinare la squadra, e non è un caso che la società stia valutando l’ingaggio last minute del quarantenne David Logan, che Sacchetti conosce bene dai tempi di Sassari.

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4138, mi ricordo

Mi ricordo Ralph Boston, elegantissimo saltatore in lungo, tre medaglie in tre Olimpiadi consecutive, fra i leader più consapevoli della protesta afroamericana a Messico 68.

4137, mi ricordo

Mi ricordo Cantù giocare a Cento, seduto in prima fila, e l’ho vista vincere 80-87 nonostante una pessima prova a rimbalzo.

#Prisma. Complicato e doloroso, oggi, essere un tifoso della Juventus

Non l’avrei mai voluto, nemmeno all’epoca del Trap e di quella squadra strepitosa che dominò negli anni Settanta, incubando Argentina 78 e Spagna 82. Da Scirea a Cabrini, da Causio a Bettega, da Zoff a Tardelli: che squadra!

Non l’avrei voluto allora, quando li invidiavo, meno che mai oggi vorrei essere nei panni di un tifoso juventino, già depresso per il rendimento “sul campo” e le dimissioni di Agnelli, Nedved, Arrivabene, eccetera, e strattonato da notizie di segno opposto. A questo povero tifoso auguro soltanto di non essere anche azionista, in Borsa i crolli del titolo Juve si susseguono.

A distanza di pochi click, sullo stesso sito, il tifoso bianconero trova la notizia dell’assalto a Youri Tielemans (centrocampista che vorrei tanto all’Inter) e al laterale mancino Grimaldo, e poi che chi intende rinnovare l’abbonamento allo Stadium riceverà un forte rimborso in caso di retrocessione in Serie B… Facile diventare schizofrenici, a leggere certe cose; le reazioni indegne prima di Landucci e poi di Allegri mostrano che il livello di nervosismo ha oltrepassato ogni livello di guardia.

Quanto alle vicende processuali, è ancora calciomercato.com a farci sapere che “la Juventus ha fatto la sua scelta e ha preso la strada dello scontro diretto. Almeno per ora, almeno in questa prima fase dell’iter che potrebbe a questo punto portare a processo la vicenda dell’inchiesta della Procura della Figc sulla ormai celebre “manovra stipendi”. La società bianconera nella giornata di ieri… ha depositato e inviato al procuratore Giuseppe Chiné le proprie memorie difensive tenendo la barra a dritta senza passi verso un possibile patteggiamento e difendendo in toto l’operato del club”.

Difesa ad oltranza, dunque, e si allontana l’ipotesi “patteggiamento”: in realtà, quella soluzione resta possibile, ma lo sconto di pena – rispetto alle richieste – sarebbe inferiore, solo un terzo anziché la metà.

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L’Asterisco (*). Bagatelle sugli affannosi tentativi per salvare la Juventus senza distruggere il calcio italiano

Provo pena per questo Paese, avessi vent’anni di meno, me ne sarei già andato: tare storiche, la diffusa ammirazione per i furbi e il disprezzo per gli onesti, una Seconda Repubblica che ha aggravato ogni difetto, di una sinistra decente non vedo traccia, il conflitto sociale non esiste, il razzismo è accarezzato da chi governa, chi lancia vernice lavabile è trattato peggio di chi per decenni non ha pagato le tasse. Eccetera.

E poi c’è la Giustizia. A nessuno sfugge che, in Italia, la gravità del reato è immensamente meno importante della bravura degli avvocati. Certezze? Nessuna: né della pena, né dei tempi della sentenza. Prescrizione e vizio di forma sono le soluzioni più praticate dai colpevoli, che spesso – nella politica, nello sport, in qualsiasi ambito – tengono a libro-paga “opinionisti” che enfatizzano le loro ragioni.

L’inchiesta Prisma della Procura di Torino si regge su intercettazioni inequivocabili. Le dimissioni collettive del CdA della Juve – con un Agnelli al comando – sono state la conseguenza inevitabile, per salvare il salvabile. Nessuno osa sostenere che la Juventus sia innocente, i più zelanti si limitano a dire “non siamo solo noi”, “così fan tutti”, ma non potendo provarlo, gettano fango nel ventilatore e usano tutti i mezzucci consentiti dai Codici per dilatare i tempi. Hanno persino osato riesumare Calciopoli, ridando la parola a personaggi radiati dal mondo del calcio; quando Moratti dice di aver sbagliato a non chiedere i danni, mi viene da rispondergli che forse è il peggior errore della sua vita.

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Che c’entri il Qatar?

Pogacar si beve una Amstel

Su Inter-Monza, sulla candidatura per ospitare Euro 2032 e sulla sospensione della squalifica alla curva della Juve

Spesso mi vergogno del mio Paese. Il senso di estraneità, ostilità e amarezza che provo nei confronti di tante autorità pubbliche non è mai stato così aspro.

L’ho già scritto, lo ripeto, lo ripeterò ancora: le sentenze sui bilanci della Juventus possono farmi decidere di abbandonare ogni interesse per il calcio. Immagino il prezzo: allentare o perdere amicizie, trovare nuovi interessi e motivi per appassionarmi, eccetera. Non sarebbe una decisione facile (e ho pubblicamente ammesso di aver fallito nel mio personale boicottaggio dei Mondiali in Qatar: ho visto un quinto delle partite, non ce l’ho fatta a essere coerente fino in fondo). Ma quando il disgusto supera una certa soglia, credo necessario dichiararlo. Ecco, ieri si è fatto un altro passo in quella direzione: per i fischi razzisti a Lukaku, la chiusura della curva della Juve è stata “sospesa”, dunque l’unico che paga sarà Lukaku. Non è un’ingiustizia, è un sopruso. E mi vergogno anche dei dirigenti dell’Inter che accettano passivamente questo esito. Ma chi dovrebbe davvero vergognarsi sono quei milioni di tifosi della Juve che si dicono “di sinistra” o anche solo contrari al razzismo: non lo faranno, ecco perché il calcio mi sta diventando disgustoso.

Su Inter-Monza, poco da dire. Solo con due gol di vantaggio, l’Inter potrà passare una serata tranquilla. Farli non sarà facile, perché il Monza corre, è pieno di talento e di ambizione, e già all’andata – anche grazie a un arbitraggio rovinoso – ci ha guastato la serata. Ma solo se l’Inter batterà il Monza potrà continuare a inseguire il quarto posto, e solo se batterà il Monza potrà presentarsi all’appuntamento con il Benfica nello stato d’animo giusto.

Infine, due parole sulla candidatura della Federcalcio a ospitare gli Europei del 2032. Da un bell’articolo di Stefano Scacchi per “la Stampa”, ricavo che chi spera in un simile esito – non io, dunque – tifa Turchia per l’assegnazione dell’edizione 2028, dove il paese di Erdogan se la gioca con Gran Bretagna e Irlanda.

Euro 2032 potrebbe essere il primo grande torneo dopo Italia ’90 (a eccezione delle partite a Roma nell’Europeo itinerante del 2021). Italia ’90 me lo ricordo bene. Ricordo le tangenti, i furti grossolani, le opere pubbliche inutili, i tanti morti sul lavoro.

Stavolta, il dossier della Federcalcio coinvolge dieci città: Milano, Torino, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Cagliari. Un paio di assenze fanno discutere: niente Udine e niente Bergamo, che pure hanno gli stadi più nuovi e moderni. Manca anche Palermo, perché sarebbero state troppo due isole come sede delle partite della competizione; l’Uefa chiede che l’organizzazione sia sostenibile dal punto di vista ambientale. Si punta sulla Sardegna, dunque, perché Cagliari è più avanti nella progettazione del nuovo stadio.

Proprio gli impianti sono il tallone d’Achille dell’Italia vista l’arretratezza di quasi tutte le attuali strutture; la Turchia è decisamente avanti per questo aspetto, ma la Figc spera che l’Europeo possa servire da acceleratore per costruire nuovi stadi. Qualche “legge speciale”, qualche assegnazione modello “Ponte Morandi”, ecco in cosa si spera.

La corruzione è uno dei mali di questo mondo, ma davvero non riesco a credere che l’Italia del calcio possa essere “premiata” in presenza di vicende come quella di Lukaku – ne ha parlato tutto il mondo, figuraccia planetaria – e con un devastante processo sportivo (oltre che penale) nei confronti della società con più tifosi e più titoli. Vabbé che veniamo dall’esperienza con il Qatar, ma dubito che la Federcalcio disponga delle risorse per corrompere in senso stretto la maggioranza di coloro che dovranno decidere.