Filologo boliviano, in una serie di brevi saggi, Antezana propone una serie di riflessioni sul calcio che ama. “Mi piacciono più i passaggi che i gol: amo maggiormente gli aspetti ‘inutili’ del gioco rispetto a quelli, diciamo così, redditizi; godo delle giocate di abilità individuale o collettiva più che dei forcing dietro una palla lunga”.
Antezana si dice convinto del fatto che la rivoluzione sportiva del Ventesimo secolo vada collocata a fianco delle rivoluzioni elettronica, femminista, ecologica, “che hanno determinato il cambiamento del nostro modo di vivere e di pensare. Il mondo contemporaneo non è semplicemente invaso dalle attività sportive; lo sport è uno dei meccanismi di socializzazione più diffusi e radicati”.
Ho letto e riletto le due pagine dedicate alla “fama postuma” di Walter Benjamin, con citazioni di Hannah Arendt.
Quanto a Garrincha… Non esiste altro luogo al mondo in cui il calcio abbia un significato sociale e culturale pari a quello che assume in Brasile (che è poi la nazionale contro cui l’Italia ha perso due finali di Coppa del mondo).
“L’angelo dalle gambe storte” e dalla corsa sbilenca, viene ricordato per l’allegria che suscitava: artefice di gesti gratuiti, quelli che spingono il calcio sul terreno dell’arte, Garrincha è un eroe tragico, “un uomo che affonda nella miseria (dell’alcolismo e dell’alienazione) e vi si perde dopo aver dato prova delle più alte capacità artistiche ed essere stato oggetto di idolatrico riconoscimento da parte della sua comunità di appartenenza”.
Garrincha è l’eccezione alla regola, il trionfo dell’effimero, dell’inutile che magicamente evolve in efficacia. Con la maglia del Botafogo, vince tre campionati carioca (1957, 1961, 1962).
I destini opposti di Pelè e Garrincha: ricchezza, regalità e potere il primo; miseria, desolazione e amore popolare il secondo. Gli altri giocano per vincere, Garrincha gioca per divertirsi, perciò lo chiamano “l’allegria del popolo”; è un “genio intuitivo”, infantile, un Forrest Gump – scrive Antezana, “un ritardato mentale che realizza imprese sportive ed eroiche senza avere la minima idea di ciò che sta facendo”.
In ogni Oratorio negli anni ’60 e ’70 c’erano almeno un Garrincha e un Jair.