È un poliziesco, questo? Anarchico, eclettico, autoironico, ecco il film che proiettò Besson nello star system. Che sia o meno una storia noir, ognuno interpreterà il finale come meglio crede.
Rivedendolo a tanti anni di distanza, prevale la fascinazione per gli estetismi del giovane regista: sequenze raffinate, complesse da realizzare, fini a se stesse o utili solo a farci pensare alla sua bravura; del resto, Subway fu uno dei primi film francesi a utilizzare la Steadycam.
Nella metropolitana parigina – labirinto pieno di scale, slarghi, binari, stanze segrete – si muovono uno scippatore che vola sui pattini (Jean-Hugues Anglade), un tipo baffuto che non si separa mai dalle bacchette della batteria (Jean Reno), un ladro dai capelli ossigenati (Christopher Lambert) che non sopporta le casseforti e si innamora di Hélèna (Isabelle Adjani). E appaiono altri ottimi attori francesi: Richard Bohringer, Michel Galabru, Jean-Pierre Bacri.
Dopo aver rubato documenti compromettenti (il contenuto resterà oscuro), l’ossigenato si rifugia nel sottosuolo (la gare d’Auber, sulla linea A della RER, fu la principale location), e mentre certi killer gli danno la caccia, inizia a corteggiare la moglie insoddisfatta di un importante uomo politico e poi si mette in testa di formare un gruppo rock con alcuni individui che bazzicano il metrò.
Del poliziesco troviamo certi stereotipi, annegati in dialoghi ermetici; per esempio, che significa aver smarrito il passaporto fra Calais e Saint-Tropez?
Oltre che con le parole, Besson gioca con il buio e i neon, ha idee originali su come trattare la musica (colonna sonora di Éric Serra, più una canzone di Rickie Lee Jones, A Lucky Guy). Per qualche anno, Lambert ha avuto grande successo, dividendo il pubblico: a parte Highlander e Greystoke, c’è chi l’ha sempre trovato inespressivo. In questo caso, prese il posto di Sting, prima scelta del regista e in ogni scena tiene la stessa espressione stralunata.
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