Giornalisti al Cinema 310: Johnny Depp

Johnny Depp – IL CASO MINAMATA – Andrew Levitas 2020

308 giornalisti al cinema

Povero Pioli

Una volta dicevano, il Trap e non solo, che allenare l’Inter era come stare dentro una centrifuga.

Oggi, ascoltando Pioli ogni volta che apre bocca, viene da concludere che quei mesi all’Inter siano stati una delizia, a confronto di come l’ha ridotto allenare il Milan.

Prima ci dice che il valore del Milan è molto vicino a quello di Real e City. Poi che l’Inter è da quattro anni la squadra migliore.

Hanno ragione quei milanisti convinti che fra Inter e Milan non ci siano 17 punti di scarto, e che l’allenatore ne valga almeno una decina.

Che fine patetica.

E al Napoli pensano di ripartire da uno così?

La notte dell’iguana [The Night of the Iguana] – John Huston, 1964 – 7

Dall’omonimo dramma di Tennessee Williams, sul palcoscenico tre anni prima, un film barocco e ridondante, che portò Dorothy Jeakins all’Oscar per i migliori costumi. Non meno brillante la fotografia in bianco e nero di Gabriel Figueroa.

Con la collaborazione di Anthony Veiller, e la costante presenza sul set del drammaturgo, Huston riuscì a consegnare alla MGM un drammone esotico, titanico, tormentato, scolpito sul senso di colpa, la tentazione, la repressione e l’espiazione. Sembra di sentirli gli effluvi dell’alcol e il clima torrido.

Sulla costa messicana, Richard Burton è Lawrence Shannon, ex reverendo alcolizzato, scacciato dalla sua parrocchia in Texas, dopo aver ceduto a una profferta sessuale, caduto in depressione e infine reinventato guida turistica. Nel gruppo di donne che porta in vacanza, Shannon fatica a respingere le avances della minorenne Charlotte (Sue Lyon proprio la Lolita di Kubrick). Ma ciò non basta a miss Fellowes (Grayson Hall), una nevrotica zitella che intende denunciarlo e farlo licenziare. Di lei, Shannon prova pena, consapevole dell’infelicità a cui la costringe una morale così proibitiva.

Il gruppo di villeggianti finisce in un hotel gestito da Maxine Faulk (Ava Gardner), appena rimasta vedova, e arriva lì anche Hannah (Deborah Kerr), quarantenne pittrice squattrinata che si muove insieme al vecchissimo nonno poeta, concentrato sui suoi ultimi versi.

L’ex reverendo è alla disperata ricerca di un nuovo equilibrio; lo attrae sia la serenità di Hannah (ancora vergine) che il vitalismo di Maxine, che a sua volta cerca compensazione alla mancanza di amore con il sesso “caliente” i due giovani messicani che lavorano per lei.

Il talento visivo e i movimenti di macchina di Huston non bastano ad alleggerire la verbosa teatralità di Williams. Meglio i personaggi della trama: Burton e la Gardner definiscono figure potenti, l’eterea Kerr non è da meno.

Di cosa parliamo nei prossimi 110 giorni?

Sbagliavo, quando auspicavo un pari nel derby per vincere scudetto e seconda stella in casa con il Torino.

Mi sto rammollendo, non ho voglia di litigare e mi è spiaciuto per il gol di Tomori, così beffardo da richiamare in attacco pure Maignan. Mestamente, lunghe file di milanisti stavano già uscendo dallo stadio a un quarto d’ora dalla fine, l’inzuccata di Tomori (merito di Gabbia) ne ha fermati tanti altri, nella speranza di farci rinviare la festa. Il dolore spesso rende stupidi: mi riferisco alla musica techno, alle mancate congratulazioni rossonere, alle isterie di Adli, di Theo e di Calabria, ai tanti fegati spappolati, a chi si illude che basterà cambiare Pioli. Vincere così, in effetti, non ha prezzo.

Anzi, no, un prezzo ce l’ha: 100 giorni di chiacchiere sul calciomercato. Fino al 17 agosto, non ci saranno partite ufficiali, i petrodollari hanno spinto a ripetere l’assurda Supercoppa araba ai primi di gennaio, a luglio l’Inter farà una tournée in Cina, ma 110 giorni sono lunghi, interminabili. Comincio con un approccio laterale.

Fra quelli che vinsero il XIX scudetto, sono rimasti solo Nicolò Barella, Alessandro Bastoni, Matteo Darmian, Stefan De Vrij, Lautaro Martinez e Alexis Sanchez (vabbé, c’era anche Stefano Sensi). È impressionante il cambiamento avvenuto dopo l’estate 2021. Marotta, Ausilio e Baccin hanno sostituito due terzi della rosa campione d’Italia con Conte, costruendone un’altra che, a mio parere, ha individualità meno forti, ma tre qualità in più: 1) sono chiare le gerarchie fra titolari e riserve; 2) è aumentato il numero di calciatori polivalenti, che possono ricoprire più ruoli; 3) sono stati scelti calciatori in grado di proporre un calcio più corale, meno affidato alle soluzioni individuali.

Al netto di chi ha chiuso la carriera, o quasi (Handanovic, Nainggolan, Ashley Young, Perisic), l’Inter ha ceduto un’intera formazione che vale senza dubbio più del Milan attuale: Onana / Hakimi, D’Ambrosio, Skriniar, Gosens, Bellanova / Vidal, Brozovic, Eriksen / Lukaku, Dzeko.

Quanto al mercato futuro, dopo Taremi e Zielinski, mi aspetto altri due colpi, e la grande difficoltà consiste nell’azzeccare le priorità, perché gli innesti necessari sarebbero quattro. Stabilite voi in quale ordine: 1) portiere che sostituisca Sommer fra un anno; 2) laterale destro al posto di Dumfries; 3) centrale difensivo per dare ossigeno a Acerbi e De Vrij; 4) attaccante veloce per aumentare fantasia e rotazioni.

Giornalisti al Cinerma 309: Philippe Noiret

Philippe Noiret – AMICI MIEI – Mario Monicelli 1976

308 giornalisti al cinema

4.483, mi ricordo

Mi ricordo che fra i prezzi della democrazia c’è la convivenza con quelle persone che vanno al cinema e spengono lo smartphone a film già iniziato.

Il tifo che acceca, due casi clinici: Milan Skriniar e Theo Hernandez

Conosco interisti che stravedevano per Milan Skriniar. Qualcuno l’aveva definito il miglior marcatore sull’uomo d’Europa, altri spiegavano che l’Inter subiva troppi gol perché gli altri difensori non erano all’altezza. Quando l’Inter ingaggiò Acerbi – avevo anch’io i miei dubbi – i più erano convinti che non avrebbe fatto la riserva a Skriniar e a De Vrij. Abbiamo visto com’è finita.

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La costanza della ragione – Pasquale Festa Campanile, 1964 – 7

Co-produzione italo-francese, dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, con Sami Frey (1937) e la ventenne Deneuve, appena uscita dal capolavoro di Demy, Les Parapluies de Cherbourg; nel cast anche Valeria Moriconi, Glauco Mauri, Andrea Checchi e Enrico Maria Salerno, nei panni di Millo.

Quello di Catherine è il primo nome sui titoli di testa, ma è Frey il vero protagonista. Figlio di immigrati polacchi di origine ebraica, deportati e uccisi ad Auschwitz, attore molto fascinoso, ha preso parte ad almeno una dozzina di film importanti. Sua la voce fuori campo: Bruno, giovane operaio fiorentino, ci fa sapere che è passato quasi un anno da quando era felice con Lori. Tramite una serie di flashback scopriremo com’è finita quella felicità.

Bruno aveva conosciuto Lori – figlia di un piccolo industriale – al ritorno da un anno passato da parenti a Milano (sembra un dettaglio, avrà una spiegazione drammatica). I due giovani si piacciono subito, cominciano a frequentarsi, parlano, ballano, si corteggiano con cautela, quasi paurosi di rovinare tutto. Oggi è domenica per noi, con la voce di Sergio Endrigo, è la canzone che li accompagna.

Bruno cova un sordo risentimento verso la società. Da bambino orfano di padre, morto in guerra, aveva trovato un punto di riferimento in Millo, operaio innamorato della madre Ivana. Crescendo, aveva cercato di impedire a Ivana e Millo di farsi una vita insieme. Dopo aver sparso un intransigente disprezzo su qualsiasi tipo di compromesso, arriverà a farsi ricevere da un prete per agevolare la tanto desiderata assunzione in fabbrica.

Anche Lori si rivela tormentata, ha paura di deludere Bruno, cova un segreto rovinoso, non trova la forza di svelarlo. Fatalmente, cade malata, la polmonite si aggrava, evolve in tubercolosi. I due innamorati si scambiano un giuramento che renderà il dolore più lancinante.

Di suo, Deneuve sprigiona un male di vivere, che la messa in scena fatica a motivare.

OUI, JE SUIS CATHERINE DENEUVE

Sette canzoni per giovedì 25 aprile

Jerusalem (Emerson, Lake & Palmer), I’m a Mineralist (Robert Wyatt), Una che dice di sì (Gianni Morandi), Where the Streets Have no Name (U2), Help Me make it (Mink DeVille), Io e te da soli (Mina), Dopo… niente è più lo stesso (Banco del Mutuo Soccorso).

4.482, mi ricordo

Mi ricordo che la costruzione di un amore non ripaga del dolore, è come un altare di sabbia in riva al mare.

Le finestre di fronte, Georges Simenon, 1933

Les gens d’en face, tradotto per Adelphi da Paola Zallio Messori, è una delle storie più esotiche composte da Simenon, che l’ha ambientata a Batum, sul Mar Nero, oggi in Georgia, nei primi anni dello stalinismo, con un protagonista turco.

Il suo predecessore è morto, per cause non conosciute, Adil bey è il nuovo console turco nella città portuale. Trentadue anni, si mostra molto orgoglioso della sua nuova repubblica. Non parla il russo, le prime persone di cui fa la conoscenza sono il console italiano (antipatico e sprezzante) e quello persiano (sempre silenzioso), con le rispettive mogli. Il console d’Italia conduce una bella vita, la casa è lussuosa e dispone di una delle poche automobili che circolano in città.

Solo, spaesato, di pessimo umore, Adil bey abita nello stesso appartamento che fa da sede del consolato. Chi vive nella casa di fronte può vedere tutto quel che succede da lui, e lui può fare altrettanto. Gli viene affiancata una ventenne russa, Sonia, che parla il turco e gli fa da segretaria: Sonia è la sorella di un membro della GPU, la polizia marittima, quel Kolin che abita proprio di fronte. Sempre impassibile, convinta sostenitrice del regime, Sonia convive con fratello e cognata, e risponde alle domande di Adil bey con frasi neutre e voce piatta, priva di emozione.

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La compagna di viaggio – Ferdinando Baldi, 1980 – 3

Statuaria, con i suoi lunghi capelli biondi, almeno un paio di volte Annamaria Rizzoli comparve sulla copertina dell’edizione italiana di Playboy, nel dicembre 1978 e nel maggio 1981, dove le si attribuiva “il più bel seno d’Italia”.

È lei la protagonista di questo filmetto scollacciato, insalvabile, dalla sceneggiatura inconsistente e dall’umorismo dozzinale, con personaggi banalissimi e futili pretesti per mostrare qualche nudità al pubblico adolescente dell’epoca. In prevalenza maschi, ma non solo: viene arruolato pure un culturista.

Vengono esibite le grazie della Rizzoli, di Serena Grandi, Marina Hedman (altrimenti nota come Marina Lotar e come Marina Frajese), Annie Belle (la più attraente), Marisa Mell (già Eva Kant in Diabolik) e per pochi secondi anche Moana Pozzi. Del cast fanno parte cabarettisti come Giorgio Bracardi (l’onorevole), Raf Luca (il capotreno), Pino Ferrara (lo psicanalista) e Loris Peota (Teodoro, alla prima notte di nozze). Con sprezzo del ridicolo, compare anche Gastone Moschin, uno degli “amici miei” e a suo tempo Jean Valjean in un magnifico sceneggiato. Doppiato da Marcello Tusco (chissà perché), Moschin interpreta il barone von Stroheim, capobanda che con il malloppo esaudirà il grande desiderio di Lilly (la Rizzoli): divenire una star del cinema.

Volendo, la si può definire una “commedia sexy”, ma trovo più appropriata l’etichetta di “B-movie ferroviario” che gli venne appiccicata. Viene da chiedersi se esistesse o no una sceneggiatura, le scene si susseguono in modalità random. Ingannevole la sequenza iniziale, il servizio fotografico nelle cascatelle di un ruscello, con la Rizzoli e la Pozzi seminude.

Abitavo ancora in un paese della “bassa” bolognese, in un giorno feriale i cartelloni pubblicitari stavano per convincerci a entrare: non lo facemmo, non so più se perché eravamo comunisti o preferimmo mangiare una pizza.

I 10 gol più belli della stagione nerazzurra

Come ha detto Inzaghi, lo scudetto era già vinto ai primi di marzo, e mi piace ricordare di aver scritto il 10 marzo che la matematica sarebbe arrivata “entro aprile”. Per la verità, immaginavo avvenisse in Inter-Torino. E – come ho scritto nell’ultimo “mi ricordo” – ho scioccamente dileggiato i bookmakers, quando davano l’Inter nettamente favorita per lo scudetto (a volte, quando c’è di mezzo l’Inter, perdo lucidità).

Se lo scudetto era già vinto a marzo, non ho bisogno di aggiornare il post del 19 marzo sui “gol più importanti”, mi basta ricopiare il podio:

  1. Lautaro su cross di Thuram nell’1-1 con la Juventus – 26 novembre
  2. Frattesi al novantesimo per il 2-1 al Verona – 6 gennaio
  3. Thuram all’incrocio per il 2-0 nel 5-1 al Milan – 16 settembre

Oggi, invece, mi limito all’estetica: ho scelto i 10 gol più belli, più spettacolari, più sbalorditivi e sorprendenti di questa lunga cavalcata. Ovvio che il gol del 4-0 abbia un peso specifico minore di quelli che sanciscono una vittoria, ma se si parla di estetica bisogna azzerare i concetti utilitaristici. Me li sono visti e rivisti su YouTube, nei servizi riepilogativi appena proposti dalle piattaforme a pagamento, e siccome i gol segnati finora sono già 94 (79 solo in campionato), la discussione è aperta…

  1. Dimarco per l’1-0 al Frosinone (finirà 2-0)
  2. Thuram per il 2-0 al Milan nel derby di andata (5-1)
  3. Lautaro per il 2-0 al Bologna (2-2)
  4. Calhanoglu per lo 0-1 al Napoli (0-3)
  5. Lautaro per l’1-1 alla Juve (1-1)
  6. Barella per lo 0-2 al Napoli (0-3)
  7. Lautaro per il 2-0 all’Atalanta (4-0)
  8. Asllani per l’1-0 al Genoa (2-1)
  9. Dimarco per lo 0-1 all’Empoli (0-1)
  10. Lautaro per il 3-0 alla Fiorentina (4-0)

Le farò anch’io, le pagelle della stagione. Ma nel frattempo ho recuperato un’immagine che risale all’ultima di campionato di due anni fa, l’inutile 3-0 alla Sampdoria, mentre il Milan vinceva lo scudetto. Molti dicono che la Nuova Grande Inter è nata a Istanbul, io sono convinto che sia stata concimata prima, da altre lacrime.

4.481, mi ricordo

Mi ricordo di aver scioccamente dileggiato i bookmakers, quando davano l’Inter nettamente favorita per lo scudetto (ne deduco che quando c’è di mezzo l’Inter perdo lucidità).

E non abbiam bisogno di parole / per spiegare quello che è nascosto in fondo al nostro cuore

Negli ultimi 33 derby, 19 vittorie, 8 pareggi, 6 sconfitte: 65 punti a 24.

I miei 10 scudetti, in ordine di preferenza

Seconda Stella, dunque… Dei 20 scudetti nerazzurri, ho ricordi sfumati di quelli vinti con Helenio Herrera. Ne ricordo bene solo 10, eccoli, in ordine di preferenza:

XI           1970-71                la rimonta di Bonimba e Corso, Mazzola e Facchetti

XIV        2005-06              la festa di Moratti quando esplose Calciopoli

XX          2023-24               il calcio spettacolo di Inzaghi, Lautaro e Thuram

XVI        2007-08              la sofferenza fino alla doppietta di Ibra a Parma

XVII       2009-10               Milito + Eto’o, con vista sul Triplete

XIII        1988-89              il Trap, Matthaus e Matteoli, Berti e Serena

XII          1979-80               Bersellini, Muraro, Altobelli e Beccalossi

XV          2006-07              il Mancio, Cruz, Figo, Crespo, schiacciante superiorità

XVII       2008-09              il Centenario, Mou abbandona il tridente

XIX        2020-21                Conte e Lukaku, Barella e Handanovic.

4.480, mi ricordo

Mi ricordo di essere scivolato più di una volta nello smarrimento, arrivando a condividere l’invettiva #suningout, e per questo chiedo scusa, anzi scusissima.

In ogni caso questo derby non scalfirà una supremazia ormai netta

Patenti di tifo non ne ho mai distribuite. Tifo a modo mio, penso di farmi capire quando scrivo, ma ho abbandonato le illusioni di proselitismo: vorrei essere convincente, ma non insisto, non voglio convincere nessuno fra quelli che sognano un derby trionfale – Vittoria + Scudetto + Seconda Stella – sotterrando il Milan con una goleada che renda il 22 aprile simile a un incubo. Vedono il calcio in modo diverso da come lo vedo io. Ma patenti di interismo non ne distribuisco e non ne accetto.

Non mi identifico con tifosi che vanno ad arringare la squadra con i megafoni, pretendendo vittorie, “sangue” e “leggende”, né quelli che ricattano la squadra, obbligandola a stare sotto la curva a prendere insulti. Trovo tutto ciò abbastanza ridicolo, quelle centinaia di tifosi poi tornano a casa, a fare i conti con i loro stipendi da mille o millecinquecento euro, mentre chi è stato arringato o tenuto a rapporto quei soldi li guadagna in un paio d’ore. Tuttavia, il post di ieri, fra i più divisivi che abbia pubblicato, mi spinge a un paio di precisazioni.

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La verità dell’Alligatore, Massimo Carlotto, 1995

Padova, una sera di fine giugno, fa già troppo caldo. La voce narrante detesta che qualcuno lo disturbi mentre ascolta del buon blues, ma “tutti sapevano che fare il giro dei locali era l’unico modo per trovarmi: il mio nome non appariva sulla guida telefonica e nessuno conosceva il mio indirizzo”.

Si è fatto sette anni di carcere con l’accusa (infondata) di terrorismo; “per cavarmela con molto meno avrei dovuto formare certi verbali e riconoscere certe facce”. Prima di finire nei guai, “ero il cantante di un gruppo, gli Old Red Alligators, e fu così che iniziarono a chiamarmi Alligatore”. Non canta più, il carcere gli ha fatto passare la voglia. E non beve più, tranne del buon Calvados, “tutto ciò che mi rimane di una donna perduta in Francia”.

Il suo nome è Marco Buratti, padovano (come Carlotto) classe 1956 (come Carlotto): la reputazione se l’è costruita in carcere e l’ha conservata fuori, chi si rivolge a lui per qualche indagine, sa che agirà anche oltre i limiti della legalità, ma potrà contare sulla sua discrezione e sulla parola d’onore.

Ecco, in meno di tre pagine la descrizione di un personaggio che seguiremmo nelle successive tremila.

Quella calda sera d’estate, una quarantacinquenne abbronzata e di professione avvocato, gli chiede di rintracciare un detenuto in semilibertà, già tossicodipendente, che pare essersi volatilizzato: occorre farlo in fretta, altrimenti perderà ogni beneficio di legge. Strano, costui si è già fatto quindici anni di carcere e fra soli undici mesi finirebbe di scontare la pena.

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4.479, mi ricordo

Mi ricordo di aver sempre disprezzato il nome del provvisorio “leader” sulla scheda elettorale, ma prendersela con l’ultima arrivata fa capire che i buoi non sono scappati, si sono ormai estinti.

Si avvicina un derby che non mi piace, spero finisca 0-0

Non parlerò di tecnica o di tattica, che l’Inter sia superiore al Milan è un fatto, certificato dalla voragine di 14 punti, dai gol fatti e da quelli subiti, dai cinque derby consecutivi (evento mai prima verificato) e nessun risultato di domani sera potrà incrinare questa certezza.

Non parlerò nemmeno di feste più o meno allegre, far giocare questo derby la sera di un lunedì fa parte dell’ottuso dominio televisivo a cui non mi sono ancora assoggettato. Allestire festeggiamenti di massa dopo le 23 di un giorno feriale equivale a sparare i fuochi d’artificio in piena luce.

Vi dirò, invece, che il mio babbo tifava Milan. Cioè Rivera. Cioè Rocco e Schiaffino, Dino Sani e Altafini, ma soprattutto Rivera. Smise di tifare Milan con il primo calcioscommesse, ma forse faceva finta. Di sicuro, smise di tifarlo, quando il Milan in bancarotta fu acquistato da Berlusconi.

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