Johnny Carter si presenta come attore di varietà, mago e giocoliere, ma fra gli spettatori qualcuno crede di riconoscere il colonnello Desmond, dell’esercito sudista. Lui nega di essere l’uomo che cercano, e rifiuta di correre in aiuto degli ex sudisti vittime di prepotenze a Coppertown: lavorano in una miniera di rame, ma l’unica fonderia appartiene a un unionista, che rifiuta di fare affari con gli ex nemici; costretti a portare il minerale altrove, vengono spesso rapinati.
Pare che il colonnello Desmond, fatto prigioniero dall’Unione, fosse riuscito a fuggire con la cassa del reggimento: ventimila dollari. Sulle sue tracce, un biondo tenente nordista (Harry Carey Jr.) va a Coppertown, dove vivono i parenti dell’ex colonnello, ed è così che incontra una giovane vedova e se ne innamora.
Arriva la diligenza, ne scendono sette ballerine e Johnny Carter, che già dal primo incontro corteggia Lisa Rosell, la donna che gestisce il saloon e pare legata al violento vicesceriffo Travis. Di nuovo, gli ex sudisti premono su Carter, a cui pare interessi solo Lisa, “una avventuriera di New Orleans astuta e senza scrupoli”.
Sceneggiatura balbettante, tutta incentrata sull’ambiguità: di Carter (ma il pubblico capirà subito che non è chi dice di essere) e di Lisa (il cui legame con Travis è solo opportunista). Del resto, Ray Milland sa essere ambiguo, con quel sorrisetto sornione che cominciai a odiare quando voleva far uccidere Grace Kelly, sua moglie in Delitto perfetto. E Lisa è Hedy Lamarr, di sfolgorante fotogenia a trentasei anni, certo non favorita dall’abbigliamento castigato dell’epoca.
L’inevitabile amore fra il tenente e la giovane vedova allude a una piena riconciliazione nazionale. Girato in Technicolor fra l’Arizona e la California del sud, la fotografia è di Charles Bryant Lang Jr. (1901-98), Oscar nel ‘32 per Addio alle armi e candidato altre diciassette volte; era il nonno di Katherine Kelly Lang, la Brooke Logan di Beautiful.
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