Pittore arrivato al fumetto per una casuale sollecitazione di Oreste del Buono, Jori (Classe 1951, nato a Merano, bolognese di adozione) propose le storie brevi di Minus alla fine degli anni Settanta.
Più che storie brevi, sono storie minime. Nessuna parola, pochi segni, zero sfumature, “non c’era autore più avaro d’inchiostro di me”, ricorda Jori.
Minus ha una testa a uovo, con tre puntini uguali, uno per la bocca e due per gli occhi. Tutte le forme sono elementari. Minus è impassibile, neanche a dirlo. Eppure attraversa situazioni spesso cruente e politicamente scorrette. C’è tanto sangue, il rosso è brillante anche quando annega nel bianco della tavola. Tutti i colori brillano, accompagnando Minus nelle sue candide “avventure”.
Ogni storia – in una, due , quattro tavole – propone un umorismo allucinato, immerso in una logica deviante. Le stelle fanno le veci delle lampadine (e viceversa). Si costruiscono paracadute con farfalle tenute al guinzaglio. Un pellerossa scambia segnali di fumo direttamente con il sole. Un drago tascabile fa da accendisigari. Le lacrime servono ad annaffiare le piante. Si può rompere la testa del padre per vedere se contiene una sorpresa. Servono pecore speciali per fare i tappeti volanti. E altre conclusioni inaspettate… Fra gli apologhi più crudeli, quelli del cacciatore d’avorio – che si fa dopo aver ucciso l’elefante e il suo padrone? – e del funerale dell’uomo incenerito da un fulmine.
Jori ricorda di essere divenuto fumettista senza saperne niente, e di non aver voluto studiare per restare originale. In effetti, è impossibile incasellare Minus in qualche “scuola”. Lui stesso descrive così l’unica possibile appartenenza: “Valvoline non era un movimento che si identificava con uno stile cubista o futurista, che alcuni di noi frequentavano, ma un atteggiamento mentale fuori dal tempo e dagli stili del momento”.
Marcello Jori, Minus, Comma 22, 2015