La zona d’interesse [The Zone of Interest] – Jonathan Glazer, 2023 – 8

Un film è un’idea, un modo di raccontarla, l’abilità degli attori e degli apparati “tecnici”, l’occhio che sceglie le inquadrature, la capacità di suscitare emozioni, eccetera.

In questa coproduzione anglo-polacca, l’idea di partenza è talmente potente, da mettere in secondo piano ogni altro aspetto. Se ne esce tramortiti, di pessimo umore, come accade quando si è costretti a fare i conti con certi abissi della natura umana, la banalità del male colta da Hannah Arendt, la nefasta predisposizione a chiudere gli occhi, disumanizzando le vittime. Fare violenza sui nostri simili è qualcosa di latente, sempre e ovunque, nella storia umana, il nazismo riuscì a farvi leva come pochi altri sistemi.

Candidato a cinque Oscar, il film deriva da un racconto (2014) di Martin Amis (dovrò recuperarlo) e non manca di soluzioni stilistiche di forte impatto. È noto che Glazer abbia ricostruito esattamente la villetta in cui viveva Rudolf Hoss (Christian Friedl), il capo di Auschwitz, con i suoi corridoi, le salette, i magnifici giardini curati dalla moglie Hedwig (Sandra Huller, baciata dalla grazia: in pochi mesi ha preso parte anche ad Anatomia di una caduta), il tunnel sotterraneo per arrivare dentro il lager (Hoss lavora tanto, ma lo usa anche per intrattenersi a scopo sessuale con giovani vittime; poi va a lavarsi).

Il bosco, il fiume, luoghi ameni. Ma nel frattempo scatta la “soluzione finale” e va alzata la produttività sterminatrice di ogni lager. Glazer sceglie di evitare ogni primo piano, i personaggi sono ripresi da lontano, impassibili, imperturbabili. All’orrore si allude tramite i fumi che salgono dai forni crematori, brevi scariche di mitra, grida che scavalcano il muro che separa la residenza della famiglia Hoss dal più “osceno” dei luoghi. I carnefici sono borghesucci, trattano male i domestici, litigano fra loro per il trasferimento ad altro incarico, chiedono aiuto (raccomandazioni) a chi comanda, ci appaiono orribili nella loro sordida, comunissima meschinità.

L’idea di partenza è chirurgica. Dell’Olocausto, tutto ci è già stato mostrato, serve altro per rinnovare l’orrore. Per esempio, lo spaesamento provocato dalla fotografia termica, oppure lo schermo che resta nero, o quei suoni travolgenti, espressionisti (l’Oscar per il sonoro se lo gioca con Oppenheimer).

Fra i tanti che ad Auschwitz hanno passato qualche ora, ho trovato geniali le scene conclusive, con quel personale di servizio che spazza, spolvera, pulisce i vetri, prima che il campo sia aperto ai turisti, oggi, con quei cimiteri di valige e borsette, di scarpe e stampelle, che riecheggiano lo sterminio.

10 risposte a "La zona d’interesse [The Zone of Interest] – Jonathan Glazer, 2023 – 8"

  1. Francesca70 26 febbraio 2024 / 10:29

    Ottima recensione. L’opera è sconvolgente, potentissima da vedere e soprattutto da ascoltare. Il regista ha parlato di un piano visivo, un piano uditivo e un terzo piano legato alla libera interpretazione dello spettatore. Poi, alla fine c’è una reazione inaspettata del protagonista e devo ancora capire cosa regista e sceneggiatore hanno voluto trasmettere.

    • Antonio Gaggera 28 febbraio 2024 / 09:16

      Anche a me è rimasto il tuo stesso dubbio. Credo sia stato un rigurgito (è il caso di dirlo) di orrore, come la scomparsa della madre.

  2. la scopa del sistema 26 febbraio 2024 / 11:14

    Ciao Rudi, esulando dal film di cui se ne sta discutendo tanto in questi ultimi tempi, cosa pensi di Martin Amis, scomparso poco tempo fa?

    Non ricordo se ne hai parlato qui: è uno dei miei scrittori preferiti e ha scritto due romanzi giganti come “L’informazione” (che ha uno degli incipit più belli della letteratura recente) e “Money” -te li consiglierei, nel caso non li avessi letti e se io non fossi uno che evita di indurre persone a leggere cosa piace a me: alla peggio prendili in biblioteca così puoi sempre restituirli se non ti gustano- oltre appunto a “The zone of interest” e altre cose belline, ma è stato anche un personaggio molto interessante ed eccentrico, curioso caso di inglese rifugiato in America per vari motivi.

    “Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono Niente. Non è niente. Solo un sogno triste. O qualcosa del genere… Passa rasente sulla nave del pianto, con i radar delle lacrime e le sonde dei singhiozzi, e li scoprirai. Le donne – e possono essere mogli, amanti, muse macilente, pingui nutrici, ossessioni, divoratrici, ex, nemesi – si svegliano, si girano verso questi uomini e domandano, con femminile bisogno di sapere: – Che cosa c’è?
    E gli uomini dicono: – Niente. No, non è niente davvero. Solo un sogno triste.
    Solo un sogno triste. Ma certo. Solo un sogno triste. O qualcosa del genere.

    • la scopa del sistema 26 febbraio 2024 / 11:17

      …di Glazer invece, dato che ha solo 4 pellicole nel curriculum, segnalo il visionario (un po’ difficile da digerire subito: ma a me è piaciuto molto) “Under my skin” e il precedente “Birth” che merita per lo spunto della trama e una Nicole Kidman tanto disturbante quanto ipnotica

      ciao!

    • Rudi 26 febbraio 2024 / 11:32

      Amis è uno dei miei peggiori “buchi”, non ho letto nulla, nonostante fosse un grande amico del mio prediletto McEwan.

      Mi segno i tuoi titoli (grazie), in casa ho solo London Fields.

      • la scopa del sistema 26 febbraio 2024 / 11:50

        de nada!

        p.s. di McEwan, si cui io invece colpevolmente conosco poco, oltre ad “Espiazione” e “Lettera a Berlino” il mio preferito resta “Cortesie per gli ospiti”: breve, conciso, con una costruzione drammatica che capisci subito dove va a parare ma non riesci a fare a meno di rileggerlo. Oltre al titolo geniale.

      • Rudi 26 febbraio 2024 / 12:26

        Cani neri è una lettura necessaria.

  3. Masspi 26 febbraio 2024 / 23:15

    Film che a breve andrò a vedere.Se posso permettermi consiglierei il film coreano” Past lives” merita di essere visto.

    • Rudi 27 febbraio 2024 / 07:51

      Domenica sono andato a vederlo, ma la sala era già piena.

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