Settembre 1969, di passaggio a Roma, Jean-Paul Sartre dialoga lungamente con Rossana Rossanda.
Dice che per l’Urss l’unica cosa che conta è il conflitto con gli Usa, e a questo sacrifica ogni rispetto nei confronti degli altri Paesi socialisti, come hanno dimostrato le vicende ungheresi e cecoslovacche.
Sulla tendenza del partito a istituzionalizzarsi e a diventare reazionario rispetto ai movimenti che si affacciano sulla scena politica, Sartre dice che il partito dovrebbe essere aperto agli impulsi e non pretendere di dirigerli, “mettersi a disposizione”, e distingue l’abilità del Pci dalla sordità del Pcf nei confronti dei rispettivi movimenti studenteschi.
Per Sartre, il luogo in cui si forma la coscienza non è la classe, né il partito: è nella lotta. Lo slogan del Maggio – l’imagination au pouvoir – esprime una coscienza e una critica all’alienazione; dice che “il campo del possibile è molto più vasto di quel che le classi dominanti ci hanno abituato a credere”. La lotta del Vietnam l’ha reso evidente. Ma senza un progetto organizzato, non si va oltre la rivolta “e la rivolta è politicamente sempre battuta”.
Conclude: “Mentre riconosco la necessità di un’organizzazione, confesso di non vedere come possano risolversi i problemi che qualsiasi struttura stabilizzata porta con sé”.
Lucidissime parole!