Lo sport contro l’uomo, Robert Redeker

“L’epoca dello sport è segnata dalla sua invadente onnipresenza. Non c’è un solo istante, in qualsiasi parte del mondo, in cui gli uomini possano ignorarne l’esistenza”.

Lo sport condivide con l’industrialismo due tratti essenziali: il culto della competizione e “il fanatismo della misura del quantitativo”. Corrotto dalla mafia e dal doping e sottoposto alle esigenze dello spettacolo televisivo, lo sport imprigiona la vita in un nuovo totalitarismo, una suadente barbarie che impoverisce l’intelligenza di miliardi di uomini.

“Lo sport è la vuota parodia mercantile, pietosa e derisoria, fatta di trucchi e imitazioni, di pasticche e di maneggi mafiosi, dell’ideale cattolico… I suoi campioni, come appare evidente dalla pseudoliturgia degli eventi sportivi, sono una casta sacerdotale, che non ha però alcun valore da trasmettere”. Prosperando sulla morte della cultura, modella un prototipo di uomo, funzionale al capitalismo della globalizzazione tecnologica e dei mercati. Il tifoso si è sostituito al cittadino mentre le nazioni e i popoli cedono il passo alle orde sportive.

“Lo sport è il laboratorio in cui si fabbricano i prototipi dei corpi umani del futuro. Guardate il fisico degli atleti, come Maurice Greene o Marion Jones, in televisione: vedrete corpi d’avanguardia, i nostri corpi di domani fabbricati da istituti specializzati in antropomodellismo”; sport e biotecnologie, assecondando l’ideologia della competizione, non possono che intrecciarsi.

Redeker, nota come le due grandi invenzioni di fine XIX secolo – cinema e sport – non si siano mai incrociate compiutamente (unica eccezione Olympia di Leni Riefenstahl).

Tradotto da Mario Baccianini per l’editore Città Aperta; Redeker è docente di Filosofia e membro del comitato di redazione della rivista Les Temps modernes.

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