Die Rebellion – Michael Haneke, 1993 – 7

Quando Haneke lavorava per la tv austriaca, prese un romanzo di Joseph Roth, uscito nel 1924, e – anche grazie all’uso sapiente della voce fuori campo – volle spremerne un succo amarissimo.

Andres Pum è un soldato, combatte nella Grande Guerra, esce dalle trincee fangose per avanzare pochi metri e venire colpito, gli devono amputare una gamba, passa lunghi mesi in un ospedale da campo che alla fine della mattanza viene visitato da una principessa, incaricata di distribuire medaglie ai mutilati.

Andres Pum si sente fortunato: poteva morire ed è ancora vivo, ha ricevuto una medaglia e gli è stata benevolmente concessa la licenza per suonare l’organetto e raccogliere elemosine. L’Impero sta collassando, nulla di più facile per i declassati che scaricare la colpa su qualche nemico interno. Ma Andres Pum sa stare al suo posto, non è un ribelle, si accontenta di quel che ha, anzi osserva con disgusto chi vuole sovvertire l’ordine, chi non rispetta “le regole”.

Haneke mette in scana la storia di una caduta. Basterà un attimo, infatti, per far precipitare Andres Pum dalla sua già poco confortevole miseria in un abisso di privazioni, anche affettive. Questo Andres è parente di Giobbe, ma c’è anche Kafka nelle accuse spietate, nei tribunali impenetrabili e nei poliziotti arroganti, nella violenza arbitraria e astratta che si scarica sui più indifesi. C’è Grosz nelle fisionomie feroci dei borghesi che gridano al comunismo. Con il suo rigore formale, enfatizzato dagli sguardi che il protagonista lancia al suo mulo, Haneke mi hanno fatto pensare a Bresson.

Branko Samarovski è Andres Pum, Judit Pogány è Kathi Blumich, Thierry van Werveke è Willi. Il restauro del 16 millimetri alterna il colore al seppia.

Solo in fin di vita, allo stremo delle forze, il protagonista sentirà dentro di sé il fuoco della ribellione. E il suo bersaglio sarà l’Onnipotente.

Il Cinema Ritrovato 2024.

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